di Simone Sottocorno

Nella società occidentale contemporanea pare che circa il 40% degli individui adulti occasionalmente incontri difficoltà a riposare. Alcuni di questi individui sperimenta difficoltà di addormentamento (insonnia iniziale), mentre altri si svegliano ripetutamente nel corso della notte (insonnia intermedia) vivendo un vero e proprio sonno frammentato; altri ancora anticipano l’ora del risveglio senza più capacità di riaddormentarsi (insonnia finale). Indipendentemente da quale tipo di insonnia si soffra, tale condizione spesso si connota come un vero e proprio disturbo, un problema cioè in grado di condizionare significativamente la qualità della vita. L’insonne vive infatti la giornata con maggiore stanchezza fisica e mentale, è maggiormente irritabili, incontra difficoltà di concentrazione e memoria. Si generano insomma problematiche secondarie a livello della vita lavorativa, famigliare e sociale. Uno studio del 2006 di Morin et al. ha stimato che il Disturbo da Insonnia, cioè il presentarsi dei sintomi notturni e diurni almeno 3 volte alla settimana per un periodo minimo di un mese, affligga tra il 10% ed il 13% della popolazione generale. 

Non solo quindi l’insonnia è comune, ma tende ad essere persistente nel corso del tempo. In alcuni studi longitudinali focalizzati sul decorso dell’insonnia si è stimato che il 74% delle persone che ne soffrono ne farebbero esperienza da almeno un anno (Plos One – DOI: 10. 1371/journal.pone.0149139, February 11, 2016). E’ importante aggiungere che chi soffre di questo stato di insonnia cronica spesso si riscontra che soffra al contempo anche di altri disturbi medici con carattere cronico: obesità, diabete, ipertensione, problemi cardiovascolari, ansia e depressione.

E’ di particolare rilievo sottolineare come si sia osservato che la relazione tra insonnia e depressione sia bidirezionale: gli individui che soffrono di insonnia cioè risulta abbiano una maggiore probabilità di sviluppare sintomi depressivi, viceversa, gli individui affetti da depressione presentano un più elevato rischio di sviluppare insonnia (Kyle S. D. et al., 2014). 

L’INCUBO DI NON DORMIRE HA MOLTE CAUSE

Sono stati riconosciuti molteplici fattori in grado di causare e mantenere l’insonnia e sono essenzialmente di ordine cognitivo (cioè hanno a che fare con i pensieri), di ordine emotivo (cioè riguardano gli stati d’animo che l’individuo prova) e di ordine comportamentale (cioè le azioni che vengono messee in atto).

Secondo il Modello Cognitivo dell’Insonnia definito da Harvey (2002, 2005) un ruolo determinanti nella genesi e nel mantenimento del disturbo sarebbe svolto dalla presenza di alcuni circoli viziosi: l’individuo quando si corica pensa insistentemente, “rumina” sulle presunte conseguenze negative legate ad una notte insonne sulle proprie performance (ad esempio lavorative) durante la giornata seguente; questo tipo di preoccupazioni causano un’attivazione del sistema nervoso autonomo che pone la persona in un assetto fisiologico antagonista allo stato di rilassamento, indispensabile invece per l’addormentamento ed il mantenimento di una buona qualità del sonno. Tende quindi a verificarsi la cosiddetta profezia auto-avverante, una condizione in cui si realizzano le conseguenze temute per il semplice fatto che si sono inconsapevolmente predisposte le condizioni per farle accadere. Un altro fattore cognitivo, piuttosto comune, giocherebbe secondo Harvey un ruolo significativo in questo processo: gli individui che soffrono di insonnia tenderebbero infatti a sovrastimare le conseguenze negative della deprivazione di sonno, giudicando le proprie prestazioni in maniera particolarmente severa. E’ palese quindi come il pensiero di non riuscire a dormire possa facilmente configurarsi come un’idea dominante dal carattere angoscioso. 

UNA CORRETTA IGIENE DEL SONNO

Spesso a nuocere ad una buona qualità del sonno concorrono anche alcune abitudini di vita non ottimali, dei comportamenti cioè di cui è possibile, per ragione di sintesi, citare solo i più frequenti: 

  • Fare sonnellini pomeridiani: è fisiologico che nel corso della giornata, spesso dopo l’ora di pranzo, sopraggiunga una sensazione di sonnolenza. Abbandonarsi alle braccia di Morfeo in questa fase della giornata però altera irrimediabilmente il ritmo sonno-veglia posticipando la successiva “finestra chimica sul sonno” e rendendo quindi più difficile addormentarsi alla sera all’orario in cui si è invece soliti andare a letto. Molto meglio invece, in caso di sonnolenza pomeridiana, venti minuti di riposo su di una poltrona; 
  • Fare attività fisica in orario serale: l’attivazione fisiologica e le alterazioni neurochimiche associate all’attività sportiva (produzione di Cortisolo e Noradrenalina) sono antagoniste dello stato di rilassamento necessario all’addormentamento. Le sostanze endocrine prodotte con l’attività sportiva richiedono infatti un periodo di tempo prolungato per essere smaltite dal nostro organismo. La sera è meglio rilassarsi, magari meditando o con una buona lettura;
  • Consumare alcolici la sera: bere vino per molti è un piacere della vita, ma gli alcolici in generale (soprattutto se consumati in quantità abbondante) nonostante producano un effetto inizialmente eccitatorio e successivamente depressivo sul sistema nervoso che può facilitare l’addormentamento, facilitano nelle ore notturne una frammentazione del sonno, con il risultato di non consentire un riposo ristoratore. E’ quindi più indicato astenersi dagli alcolici prima di dormire;
  • Guardare a lungo schermi luminosi prima di addormentarsi: il nostro cervello è molto sensibile alla luce, per questo bombardare la nostra retina con i fasci luminosi di computer e smartphone ha l’effetto di stimolare l’attività del sistema nervoso anziché rilassarlo, inibendo la produzione di Melatonina, ormone che agisce sull’Ipotalamo ed ha la funzione di regolare il ritmo sonno – veglia;
  • Indugiare a letto quando non si riesce a dormire: questo comune comportamento sembra favorire un’associazione psicologica maladattiva tra il fatto coricarsi ed il dormire; il rischio è che con il tempo tale fastidioso evento si consolidi e divenga un’abitudine. Si dimostra più funzionale, quando non si riesce a dormire, alzarsi dal letto e svolgere una piccola attività rilassante. 

LE LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO

Il trattamento che viene unanimemente indicato dalla comunità scientifica come quello maggiormente efficacie nel trattamento e nella cura dell’insonnia è quello della Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale, la quale si avvale di molteplici tecniche e strategie di intervento, sia in setting individuale che di gruppo. La ristrutturazione cognitiva dei pensieri disfunzionali è senz’altro una delle strategie di elezione nel trattamento del disturbo, ma anche la psico-educazione al fine di favorire una migliore igiene del sonno nell’individuo ed alcune tecniche di rilassamento e pratiche meditative fra cui spicca per efficacia la Minfulness, attraverso i protocolli di riduzione dello stress (MBSR) e di trattamento cognitivo (MBCT). 

Va infine sottolineato come la risoluzione dell’insonnia si sia dimostrata fondamentale nel miglioramento generale anche di altri sintomi propri di condizioni morbose quali disturbi d’ansia, disturbi dell’umore e disturbi da stress.

BIBLIOGRAFIA

  • American Psychiatric Association, 2014, “DSM – 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, Raffaello Cortina Editore;
  • Harvey A. G. et al., 2002, “A Cognitive Model Of Insomnia”, Behav. Res. Ter., Aug, 40(8): 869 – 93; 
  • Harvey A. G. et al., 2005, “Cognitive Approaches To Insomnia”, Clinical Psychological Review, Jul, 25(5): 593 – 611; 
  • Kyle S. D. et al, 2014, “Altered Emotion Perception in Insomnia Disorder”, Sleep, Apr. 1, (37)4: 775 – 783; 
  • Jungquist C. et al., 2005, “Cognitive Behavioral Treatment Of Insomnia: A Session-By-Session Guide”, Sringer;
  • Morin C. M. et al., 2006, “Psychological and behavioral treatment of insomnia:update of the recent evidence (1998-2004)”, Sleep, Nov. 29 (11): 1398 – 414;
  • Plos One – DOI: 10, 2016, 1371/journal.pone.0149139, February 11;
  • Sapolsky R. M., 2004, “Perché alle zebre non viene l’ulcera?”, Owl Book, Henry Holt and Company, New York. 
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