di Simone Sottocorno

La parola “trauma” ha etimologia greca e significa “ferita dell’anima” (Dizionario Etimologico Online, 2019): una lacerazione invisibile che se non ben cicatrizzata può continuare a sanguinare anche per tutta la vita, continuando a provocare dolore ed a condizionare la vita della persona che lo ha vissuto.

Ciascuno di noi, durante l’intero ciclo di vita, è quindi esposto all’eventualità di incappare in un’esperienza traumatica dal punto di vista psicologico.

Vengono generalmente definite due tipologie di traumi:

  • quelli che hanno a che fare con un evento traumatico definito “con la T maiuscola” o Trauma Semplice, più raro ma con conseguenze immediatamente più nefaste quali sono ad esempio calamità naturali, incidenti, circostanze di guerra, abusi o violenze subite, aggressioni, omicidi o suicidi di persone care, diagnosi di malattie gravi;
  • quelli che hanno a che fare con un evento traumatico definito “con la t minuscola” o Trauma Complesso, cioè quelle esperienze che sembrerebbero di per sé comportare effetti trascurabili ma che se reiterate nel tempo possono esitare in conseguenze anche peggiori di quelle relative ai traumi semplici. In particolare, quando questi microtraumi ripetuti avvengono in una fase precoce della vita di un individuo dove quindi l’identità non è ancora solida e le risorse personali sono limitate (ridotta capacità di astrazione e di pensiero critico, elevata vulnerabilità psico-fisica, forte dipendenza dai propri caregiver), possono davvero lasciare il segno. E’ il caso di esperienze di umiliazione subita (come ad esempio gli atti di bullismo), abbandoni e trascuratezza (neglect) da parte dei genitori. Le conseguenze di tali esperienze avverse possono emergere gradualmente anche dopo diversi anni, sotto forma di comportamenti disfunzionali, difficoltà emotive e fatiche nelle relazioni con gli altri durante l’intero arco di vita, strutturando talvolta veri e propri disturbi psicologici di varia entità.

QUALI CONSEGUENZE

Ci sono ferite dell’anima che, come accennato, continuano a sanguinare anche a distanza di anni e per tutta la vita. Nel caso dei Traumi Semplici gli individui spesso reagiscono con paura intensa, orrore e senso di vulnerabilità, così come descritto nel DSM-V (American Psychiatric Association, 2014) a proposito del Disturbo da Stress Post Traumatico (si rimanda all’articolo dedicato: inserire link).

In questi casi l’individuo presenta una iper-reattività agli stimoli ambientali o interiori che ne riconducono la memoria all’evento traumatico, facendogli sperimentare uno stato di allerta costante; la persona vive frequenti flash-back dell’evento, cioè ricordi intrusivi sotto forma di immagini o suoni dello stesso, oppure fa esperienza di veri e propri stati allucinatori. Sembra che l’evento sia appena accaduto, anche se sono passati mesi o anni.

Nel caso dei Traumi Complessi la sofferenza psicologica può essere di intensità inferiore ma configurarsi come ugualmente o anche più invalidante dei Traumi Semplici: mancanza di autostima, senso di insicurezza, frequenti auto-colpevolizzazioni, attacchi di panico, ansia e rabbia intense ne sono le espressioni più frequenti.

COME IL TRAUMA VIENE IMMAGAZZINATO IN MEMORIA

La nostra mente è dotata di uno speciale “sistema immunitario” che entra in azione per guarire le ferite dell’anima: si chiama “Sistema di Elaborazione Adattiva dell’Informazione” e nella maggior parte dei casi è autonomamente efficacie nel rielaborare in modo adattivo l’esperienza traumatica, fatta di pensieri, sensazioni e stati emotivi come qualsiasi altro ricordo, che viene facilmente integrata nel network cerebrale.

Quando invece un trauma rimane irrisolto, e quindi le risorse naturalmente presenti nel nostro sistema nervoso non sono state sufficienti a rielaborare ciò che è stato vissuto, esso diventa parte di un circolo vizioso di pensieri, emozioni e sensazioni corporee disturbanti, immagazzinate nel cervello in maniera differente rispetto ai ricordi non traumatici, collocati nell’emisfero destro anziché nel sinistro, separati dai ricordi positivi come se fossero congelati in uno spazio e tempo diversi rispetto al resto dei nostri vissuti. Qui continuano ad agire, ma in realtà queste cicatrici sono solo il ricordo di quello che è successo.

EFFETTI NEUROBIOLOGICI DEL TRAUMA

Si vuole citare alcuni studi scientifici che esemplifichino una parte delle alterazioni funzionali (neurochimiche) e strutturali (morfologiche) a carico del sistema nervoso, al fine di evidenziare i dimostrati effetti del trauma sul nostro cervello.

Nel Trauma Complesso, derivante ad esempio da esperienze di maltrattamento o traumatizzazione ripetuta, si è osservato come si producano effetti pervasivi sullo sviluppo del cervello e della mente, interferendo di fatto con il naturale sviluppo neurobiologico (van der Kolk, 2003). Le esperienze traumatiche alterano l’attività dell’asse “HPA – ipotalamo/ipofisi/surrene”, un sistema neuroendocrino presente in tutti i mammiferi che consente di agire una risposta efficacie in condizioni di pericolo. In presenza di un evento traumatico, è necessario per l’attivazione del sistema nervoso autonomo e quindi per la sopravvivenza un aumento del cortisolo, l’ormone dello stress. Si è riscontrata una disregolazione frequente di questo asse HPA negli studi sui correlati neurobiologici del maltrattamento, che rilevano quasi invariabilmente livelli anormali di cortisolo (Hart J. et al., 1995). Altri studi (Bremner J. D., 1999) hanno evidenziato come in persone con diagnosi di Disturbo da Stress Post Traumatico, sia adulti veterani di guerra, sia bambini abusati, una riduzione delle dimensioni dell’amigdala oppure dell’ippocampo.

Tale riduzione neuroanatomica appare maggiormente evidente se il trauma è precoce, cioè se si è verificato in un momento critico dello sviluppo e quando era ripetuto nel tempo (Trauma Cumulativo/Complesso). L’incremento dei glucocorticoidi, associato a modificazioni di altri neurotrasmettitori coinvolti nella reazione allo stress, come ad esempio la serotonina, sembra essere responsabile della ridotta neurogenesi e dell’aumentata atrofia dei neuroni già formati. Più in generale, sembra che i traumi legati a maltrattamenti durante l’infanzia (Trauma Cumulativo/Complesso) influiscano sullo sviluppo dell’emisfero cerebrale destro, prevalente nelle risposte di attaccamento, nell’elaborazioni degli stimoli non verbali, nella regolazione degli stati emotivi e della risposta allo stress (Cicchetti D., 2002).

EYE MOVEMENT DESENSITIZATION AND REPROCESSING

EMDR è l’acronimo della definizione inglese “Eye Movement Desensitization and Reprocessing”, cioè Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari. Si tratta di un trattamento psicoterapico scoperto dalla psicologa statunitense Francine Shapiro nel 1989, per caso, mentre la stessa passeggiava nel campus universitario presso il quale lavorava. L’aneddoto racconta che la dott.ssa Shapiro fosse assorbita in alcuni pensieri relativi a memorie personali spiacevoli/disturbanti e, ritrovatasi di fronte ad un laghetto, iniziò ad osservare il panorama muovendo velocemente gli occhi da destra a sinistra, per alcuni secondi.

Ciò che notò fu sorprendente: iniziarono ad affiorare nella sua mente nuovi pensieri relativi alla circostanza disturbante, ma stavolta di coloritura positiva ed accompagnati da un’attivazione emotiva di catarsi, cioè di liberazione, e tale effetto perdurò a lungo.

Questo fu l’inizio dei successivi approfondimenti e studi sperimentali che le consentirono di mettere a punto, a partire da questa scoperta causale, una teoria ed un protocollo di trattamento delle memorie traumatiche. Inizialmente fu utilizzato per alleviare lo stressa associato ai ricordi traumatici, ma ad oggi a seguito di numerosi riconoscimenti scientifici internazionali è considerato il trattamento evidence-based per il DPTS, approvato nel 2013 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Gli aspetti vincenti dell’EMDR sono la rapidità dell’intervento, l’efficacia comprovata e la possibilità di essere applicato a persone di qualsiasi età (inclusi i bambini).

COME SI SVOLGE L’EMDR

Per poter applicare l’EMDR lo psicoterapeuta deve aver sostenuto un apposito training, che lo abilita di fatto alla somministrazione del protocollo.

Durante il trattamento inizialmente viene raccolta la storia di vita del cliente, identificando insieme a lui gli elementi che hanno contribuito a sviluppare il problema attuale: attacchi di panico, depressione, fobie, difficoltà relazionali, abuso di sostanze, ecc.

Questi saranno i ricordi che verranno elaborati con l’EMDR. Durante la seduta la persona viene invitata a notare pensieri, sensazioni fisiche ed immagini collegate all’esperienza traumatica e contemporaneamente il terapeuta gli fa compiere dei semplici movimenti oculari oppure procede con stimolazioni alternate destra-sinistra, di tipo tattile o uditivo.

Queste specifiche stimolazioni bilaterali hanno lo scopo di migliorare la comunicazione tra gli emisferi cerebrali, basandosi su un processo neurofisiologico innato, simile a quello che avviene nel sonno REM (fase del sogno in cui si sogna).

Dopo il trattamento con EMDR la persona ricorda ancora l’evento, ma sente che tutto ciò fa parte del passato ed è integrato in una prospettiva più adulta. I ricordi disturbanti legati all’esperienza traumatica si modificano e tale cambiamento è molto rapido: i pensieri intrusivi si attutiscono o spariscono, le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità.

Studi scientifici hanno dimostrato che attraverso 3-6 sedute è possibile raggiungere una remissione completa dei sintomi legati al Disturbo da Stress Post Traumatico in ¾ dei casi connessi ad un Trauma Semplice, mentre sono necessarie circa 12 sedute per trattare individui vittime di Traumi Cumulativi/Complessi.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • American Psychiatric Association, 2014, “DSM – 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, Raffaello Cortina Editore;

  • Bremner J. D., 1999, “Does stress damage the brain?”, Society of Biological Psychiatry, 45, 797 – 805;

  • Cicchetti D., 2002, “How a child builds a brain: Insights from normality and psychopathology”, In W. Hartup e R. Weinberg (a cura di), Child Psychology in Retrospect and Prospect: Minnesota Symposia on Child Psy;

  • De Bellis M. D., Keshavan M. S., Frustaci K., 2002, “Superior Temporal Gyrus Volumes in maltreated children and adolescent with PTSD”, Society of Biological Psychiatry, 54, 544 – 55;

  • Dizionario Etimologico Online, 2019, www.etimo.it;

  • Hart J., Gunnar M., Cicchetti D., 1995, “Salivary cortisol in maltreated children: Evidence of relations between neuroendocrine activity and social competence”, Development and Psychopathology, 7, 11 – 26;

  • Stein M. B., Koverola C., Hanna C., Torchia M. G., Mc Clarty B., 1997, “Hippocampal volume in women victimized by childhood sexual abuse”, Psychological Medicine, 27(4): 951 – 959;

  • van der Kolk B. A., 2003, “The neurobiology of childhood trauma and abuse”, Child and Adolescent Psychiatry Clinics of North America, 12(2): 293 – 317.

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dott.ssa Annarita Scarola

inizia la sua attività terapeutica nell’ambito della disabilità grave e del fine vita, effettuando sostegno psicologico ai malati di SLA e accompagnamento alla morte. Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale.

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dott. Simone Sottocorno

inizia la sua attività di Psicologo nel contesto della Tutela Minorile, in cui matura un’esperienza significativa con ragazzi adolescenti e le loro famiglie, sino a diventare Responsabile dei Servizi Educativi Domiciliari

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dott.ssa Laura Grigis

inizia la sua attività come psicologa nell’ambito del sostegno e potenziamento delle abilità scolastiche, anche in situazioni di Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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dott.ssa Elena Cristina

inizia la sua attività clinica occupandosi di psicologia dell’invecchiamento sano e patologico, neuropsicologia e psicologia del malato oncologico (psico-oncologia). Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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