Disambiguazione semantica: una premessa terminologica

All’interno delle distinte norme che implicano in qualche modo la partecipazione attiva dei soggetti di minore età capaci di discernimento rispetto ai procedimenti giudiziari ad essi attinenti, viene spesso adottata una diversa terminologia, la quale può essere d’aiuto nel comprendere adeguatamente i distinti significati e le diverse implicazioni che lo riguardano.

Il minore, infatti, può essere sentito, ascoltato, esaminato da parte del giudice, direttamente o indirettamente tramite la presenta di un ausiliario, o può essere sottoposto ad un’audizione protetta, mostrando come i distinti significati semantici dei verbi utilizzati possano determinare la definizione di modalità diverse attraverso cui significare la partecipazione attiva del minore (Domanico, 2008).

Nel procedimento penale all’interno del quale il minore risulta l’imputato, esso viene ad essere esaminato, ovvero viene ad essere interrogato con il fine di chiarire i fatti ed il suo grado di responsabilità. Il minore imputato mantiene il pieno diritto ad essere informato per comprendere quanto accade attorno a lui, sia nella fase dell’udienza preliminare che nel dibattimento: nello specifico, l’art. 1 del DPR 448/88 sancisce, al secondo comma, che “il giudice illustra all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni”.

In riferimento al minore in quanto testimone-vittima di reato, si parla diffusamente di audizione protetta, volta ad assumere tutte le caratteristiche necessarie al fine di garantire la tutela della integrità psicofisica del minore e promuovere la costruzione della relazione tra autorità giudiziaria ed il minore stesso, il quale deve essere messo a proprio agio per permettergli di costruire il più fedelmente possibile quanto accaduto, evitando dunque il potenziale impatto traumatico che potrebbe costituire il suo ingresso in aula o l’incontro diretto con l’imputato.

Infine, in riferimento ai procedimenti civili, il minore può essere sentito o ascoltato, verbi che hanno al loro interno una distinta tonalità semantica. Il verbo sentire, infatti, implica che vengano raccolte informazioni utili per il procedimento, costituendosi, dunque, l’attività in cui si sente il minore in un atto istruttorio con tutte le implicazioni inerenti il rispetto del contraddittorio, ponendosi centrale la questione delle garanzie processuali e della medesima rappresentanza del minore in situazioni di conflitto di interessi con gli esercenti la responsabilità genitoriale.

Al contrario, il verbo implicante l’ascolto mette maggiormente in evidenza la posizione del minore all’interno del procedimento che lo riguarda nei termini di rendere effettivi i suoi diritti: essere informato ed esprimere liberamente la propria opinione. Diviene dunque fondamentale la diversificazione intercorrente tra l’ascolto del minore e l’esame dello stesso sotto forma di testimonianza o interrogatorio. L’ascolto, infatti, equivale allo strumento atto a permettere al minore di partecipare al procedimento atto ad emettere una decisione che riguarda, e a volte modifica radicalmente, la sua vita. Nel corso dei lavori preparatori alla L.54/2006 si sottolineava l’importanza di non inserire l’ascolto del minore nell’ambito dell’esame dei mezzi di prova, evidenziando come la ratio dell’ascolto non fosse tanto quella di fornire al giudice degli elementi probatori, ma piuttosto di permettere una partecipazione diretta del minore alle vicende processuali che lo riguardano, attraverso l’espressione dei propri bisogni e desideri. Quando, invece, all’interno di un procedimento civile o penale il minore viene esaminato come persona informata, testimone, vittima o anche imputato, non vengono tanto ascoltate le sue opinioni a riguardo, ma piuttosto vi è un racconto dei fatti importanti ai fini della decisione.

Questo aspetto viene chiarito dalla Corte di Cassazione, secondo la quale l’ascolto del minore non rappresenta “una testimonianza o un altro atto istruttorio rivolto ad acquisire una risultanza favorevole all’una o all’altra soluzione, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto” e, per tale motivo, precisa la Corte, va svolta in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione, e quindi “con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo”. Come lo stesso Pazè afferma (2004), “l’ascolto è prestare orecchie e attenzione a ciò che il minore vuole esprimere; la testimonianza è il racconto indotto su fatti che interessano al giudice per decidere. L’ascolto ha come soggetto attivo il minore; la testimonianza vede come protagonista il giudice. L’ascolto costituisce manifestazione specialmente di opinioni e di emozioni; la testimonianza ha come contenuto il racconto di fatti. Qualche volta la testimonianza può essere traumatica, invece l’ascolto è in qualche modo liberatorio. Nella testimonianza non è rilevante ciò che il testimone vuole o desidera; l’ascolto è invece uno strumento per raccogliere le opinioni del minore, con obbligo di prenderle debitamente in considerazione nel momento della decisione e di esplicitare anche tale considerazione nella relativa motivazione…”. Di conseguenza, l’ascolto del minore non può essere concepito, per propria stessa natura, un mezzo istruttorio, ma piuttosto uno strumento attraverso cui il soggetto di minore età possa esprimere pienamente il diritto che la propria voce venga ascoltata, oltre a quello di essere informato del contesto che lo circonda, promuovendone la propria piena partecipazione. 

L’importanza dell’ascolto del minore: obbligatorietà e capacità di discernimento

Un aspetto fondamentale da chiarire, relativamente l’ascolto del minore, concerne due termini che ripetutamente emergono dalla normativa internazionale e nazionale: quello di obbligatorietà dell’ascolto e quello inerente la capacità di discernimento del minore.

Rispetto al primo, risulta centrale soffermarsi sul concetto per cui l’ascolto del minore, nei procedimenti che lo riguardano, viene previsto, all’interno della nostra normativa, come un vero e proprio obbligo, e non come una mera facoltà. Attraverso tale modalità, viene ad essere concretamente riconosciuto il diritto fondamentale, in capo al minore, di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti che implicano delle ripercussioni sulla sua vita, oltre che esplicarsi in un elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse.

L’ascolto del minore, infatti, viene riconosciuto all’interno del nostro ordinamento come un adempimento a pena di nullità, implicando l’annullamento della sentenza a fronte della sua non attuazione, a meno che il giudice non ritenga, attraverso una specifica e circostanziata motivazione, che l’esame sia esplicitamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore. Nello specifico, il mancato ascolto del minore da parte del giudice può essere considerato legittimo solo nel momento in cui quest’ultimo, attraverso una chiara motivazione, fondi tale scelta sulla base della valutazione dell’età, delle condizioni e dei disagi manifestati dal minore, facendo emergere come il coinvolgimento emotivo nella controversia dei genitori possa entrare in contrasto con la tutela del suo superiore interesse. L’ascolto può essere omesso anche laddove venga valutata l’incapacità di discernimento del minore medesimo o emerga, indipendentemente dalle capacità di quest’ultimo, il desiderio del figlio di non essere coinvolto nella vicenda che lo riguarda.

Tale imprescindibilità risulta necessaria per assicurare che la voce del minore all’interno del giudizio venga tenuta in debita considerazione: anche laddove il giudice disponga che l’ascolto venga attuato attraverso una consulenza tecnica, essa non rappresenta una restrizione della sua libertà personale ma costituisce piuttosto un’espansione del diritto stesso alla partecipazione all’interno del procedimento che gli concerne, identificabile quale un momento formale volto a raccogliere le sue opinioni e bisogni. Va sottolineato, però, come non sia sufficiente che il minore venga interpellato da soggetti (ad es. assistenti sociali) le cui relazioni siano state acquisite successivamente al fascicolo processuale, risultando necessario che il soggetto che procede all’ascolto del minore sia investito di una specifica delega da parte del giudice inerente al dovere di informare il minore di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà. Infatti l’ascolto non costituisce un atto istruttorio, ma un momento formale del procedimento volto a raccogliere le opinioni del minore e i suoi bisogni, affidato alla discrezionalità il giudice, il quale si deve assicurare che venga rispettato il principio per cui l’ascolto debba svolgersi in modo da garantire l’esercizio effettivo del minore ad esprimersi liberamente.

Inoltre va esplicitato come il giudice, nonostante sia soggetto all’obbligo di ascolto del minore, come fin qui delineato, non deve essere considerato come mero esecutore di quanto espresso dal minore, ma piuttosto assume il ruolo di esplicitare e riconoscere i bisogni profondi del minore al fine di tutelarne una crescita serena ed equilibrata, perseguendo il superiore interesse del minore. Infatti l’ascolto del minore permette di dar voce ai desideri dello stesso, a partire dai quali il giudice deve riconoscere se essi siano pienamene consapevoli e maturi, o derivati da pressioni esterne. Ne deriva dunque che le scelte del giudice possano disattendere tali desideri, comportando una motivazione che sia tanto più stringente quanto più venga ad essere dimostrata la capacità di discernimento del minore. Inoltre, qualora il minore sia già stato sentito nel precedente giudizio, in sede di appello il giudice non è tenuto ad attuare nuovamente l’ascolto, oltre a non essere vincolato alle indicazioni derivanti dal minore medesimo, sempre motivandone la decisione.

Per quanto attiene la capacità di discernimento del minore infradodicenne, essa fa riferimento, all’interno dell’ascolto del minore, alla sua capacità di consapevolezza e comprensione, la capacità di formarsi una propria visione e opinione delle cose (Fadiga, 2006), in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, implicando la necessità, innanzitutto, di verificare che il minore sia in grado di formarsi un’opinione sul tema in questione (Babel, 2008). Secondo Cesaro (2006) ogni bambino acquisisce competenze di autonomia, di pensiero e di discernimento in tempi e modi differenti, motivo per cui essa dovrebbe essere valutata facendo riferimento alla specifica vicenda umana e processuale e tenendo conto dei condizionamenti cui il minore può essere esposto. 

La definizione della presenza o meno di tale capacità viene lasciata al giudice, non richiedendo necessariamente un contributo specialistico, sottolineando, però, che essa non può essere esclusa facendo univocamente riferimento all’età del minore. Infatti, la capacità di discernimento non deve essere intesa quale una capacità che sopraggiunga ad una certa età in maniera uniforme, ma piuttosto un aspetto che varia al grado di sviluppo dei minori, alla loro capacità di comprendere gli eventi che li riguardano, oltre che la gravità e la natura della questione. In riferimento a ciò, pregnante risulta definire le condizioni attraverso cui il bambino possa esprimere liberamente la propria opinione, ovvero senza nessuna pressione o influenza esterna che possa compromettere la possibilità che possa formarsi liberamente un proprio personale punto di vista: l’assenza di libertà, che va inevitabilmente ad interferire con la possibilità del minore di formarsi una propria opinione, elimina infatti la possibilità di prendere in considerazione le opinioni del bambino, rendendo di conseguenza difficoltoso l’ascolto medesimo (Babel, 2008).

Aspetti procedurali dell’ascolto del minore rilevabili all’interno dei protocolli in materia civile

L’introduzione e la valorizzazione dell’ascolto del minore, come precedentemente definito, interessa principalmente i procedimenti civili minorili, inerenti questioni attinenti l’adozione, l’affido, la responsabilità genitoriale e divorzi e separazioni dei genitori.

Affinché possa attuarsi correttamente il diritto del minore ad essere ascoltato, risulta necessario che esso venga concretizzato attraverso prassi adeguate e rispettose della sensibilità del minore, secondo il principio della minima offensività (Togliatti, 2012). L’ascolto del minore, infatti, deve essere effettuato attraverso le modalità atte ad evitare turbamenti, interferenze e condizionamenti, in modo da permettere allo stesso di esprimere liberamente le sue aspirazioni, i suoi desideri, ma anche le sue paure e i suoi bisogni. Inoltre il giudice, discrezionalmente, può decidere se procedervi direttamente di persona, vietare l’interazione con i genitori e/o con i difensori, disporre una consulenza tecnica o delegarne l’esecuzione ad un soggetto più appropriato professionalmente.

Uno specifico aiuto nella delineazione della corretta attuazione del diritto del minore ad essere ascoltato all’interno dei procedimenti che lo riguardano ci giunge dai protocolli ad esso attinenti, elaborati attraverso la collaborazione di professionisti ed esperti del campo. Essi, pur non avendo alcuna valenza precettiva e, dunque, non giuridicamente vincolante, promuovono linee guida concettuali e metodologiche interessanti, con il fine di rendere l’ascolto del minore una reale opportunità per quest’ultimo di esprimere i propri bisogni e desideri. Tali protocolli, inoltre, forniscono buone prassi per agevolare lo stesso lavoro di valutazione e scelta dei vari professionisti, sempre nell’ottica di tutelare i loro diritti.

In riferimento al protocollo di Milano, esso fornisce interessanti indicazioni per quanto attiene i procedimenti contenziosi inerenti questioni che riguardano i figli sull’affidamento e il diritto di visita. Supporta che l’ascolto del minore infra-dodicenne venga attuato da un esperto o una ctu, inclusa la capacità di discernimento; che venga svolto in una stanza idonea a porta chiuse e fuori dall’orario scolastico; con verbalizzazione sommaria e in assenza delle parti e dei loro difensori, con la presenza del curatore o dei genitori se viene richiesta dal minore medesimo; potrà essere richiesto, a riguardo, la videoregistrazione dell’incontro e, prima dell’ascolto medesimo, le parti potranno sottoporre all’esperto i temi e gli argomenti sui quali ritengono opportuno sentire il minore. Disciplina anche ciò che attiene i doveri di informazione del minore sui motivi del suo coinvolgimento e dei possibili esiti del procedimento medesimo, specificando che tali esiti non saranno necessariamente conformi a quanto lui stesso esprimerà.

Il protocollo di Venezia è inserito all’interno del protocollo generale per le udienze civili in tema di separazione e divorzio, previsto in sede di contenzioso. Afferma che, a fronte del diritto del minore ad essere ascoltato, entrambe le parti, sia i legali che i direttamente i genitori, possano esprime le ragioni per le quali ritengano che l’ascolto del minore sia contrario al suo stesso interesse, oltre che offrire indicazioni sugli argomenti che essi ritengano di utilità da affrontare in sede di ascolto. Come delineato in precedenza, anche il protocollo di Venezia indica la fascia pomeridiana per l’ascolto, oltre che prevedere l’importanza di fornire informazioni adeguate al minore sul motivo e sui possibili esiti del procedimento.

Il protocollo di Salerno, come il protocollo precedentemente designato, prevede l’ascolto del minore unicamente all’interno dei procedimenti contenziosi e nei casi in cui debbano essere assunti provvedimenti che riguardano l’affidamento e le modalità di frequentazione; il minore infra-dodicenne potrà essere ascoltato alla presenza di un ausiliario o all’interno di una CTU per valutare la capacità di discernimento; l’ascolto avverrà ad udienza fissa ed orario prestabilito, in ambiente adeguato alle sue esigenze e a porte chiuse, non prevedendo la presenza dei genitori e dei difensori, i quali prima dell’ascolto potranno sottoporre al giudice i temi e gli argomenti sui quali ritengono opportuno sentire il minore mentre, se nominato, è prevista la presenza del curatore speciale e, laddove il minore richieda la presenza di un genitore, di entrambi o di una persona estranea al nucleo, tale richiesta dovrà essere preventivamente sottoposta al giudice; avverrà alla presenza di un ausiliario o direttamente da parte del giudice e, dinanzi al T.M., potrà essere delegata ad un giudice onorario che riferirà al giudice relatore; vi sarà inoltre verbalizzazione delle dichiarazioni, anche in forma sommaria. Viene nuovamente ad essere ribadito il diritto del minore all’informazione.

Il protocollo di Varese specifica inoltre che, laddove la capacità di discernimento non è facilmente desumibile o risulta controversa la potenziale presenza di pregiudizio a carico del minore in conseguenza all’ascolto, il giudice possa delegare i Servizi Sociali affinché delineino una relazione a riguardo. Laddove il minore sia stato già ascoltato in altre sedi giudiziarie, l’ascolto può essere escluso qualora dall’acquisizione degli atti si rileva che l’opinione del minore, rispetto all’oggetto del procedimento, sia già emersa. Supporta la verbalizzazione dell’ascolto integrale e fedele, la quale deve essere letta e sottoscritta dal minore. Sono riportati anche eventuali comportamenti e manifestazioni non verbali del minore, oltre a poter esserne disposta l’audio-registrazione.

Anche all’interno del protocollo di Verona viene previsto l’ascolto del minore solo all’interno dei procedimenti contenziosi in cui devono essere prese decisioni in riferimento ai figli. L’ascolto è disposto ad udienza fissa, in ambiente adeguato, a porte chiuse e fuori dall’orario scolastico garantendo massima riservatezza e tranquillità; viene disposta una verbalizzazione anche in forma sommaria e il verbale viene letto e sottoscritto dal minore; potrà essere presente il curatore del minore, se nominato, ed il giudice può decidere se ammettere o meno la presenza dei difensori con provvedimento motivato,  i quali, comunque, potranno preventivamente sottoporre temi ed argomenti sui quali ritengono opportuno sentire il minore; il giudice valuterà se ammettere la presenza di un genitore, di entrambi o di una persona esterna al nucleo familiare, se richiesto dal minore. Viene sempre prevista preventiva informazione al minore sui motivi del coinvolgimento e sugli esiti possibili del procedimento, precisando che essi non necessariamente saranno conformi alla espressione del minore. Viene inoltre sottolineato che gli avvocati dei genitori o loro consulenti non devono in alcun modo strumentalizzare la propria funzione per incidere sulla spontaneità dell’ascolto del minore, oltre ad invitare i propri assistiti ad un comportamento responsabile, evitando ogni forma di suggestione ed induzione della volontà del minore, il tutto per promuovere nel minore una libera espressione delle proprie opinioni e bisogni.

Conclusione

La realizzazione concreta del diritto del minore ad essere ascoltato all’interno dei procedimenti che lo riguardano risulta strettamente connessa alla capacità del sistema giudiziario di trattare i minori con dignità, rispetto, attenzione ed equità (Consiglio d’Europa, 2012), tenendo in seria considerazione il loro punto di vista. Affinché possa dirsi presente un sistema di questo tipo, è necessario che esso sia in grado di adeguare il proprio passo a quello dei più piccoli, un sistema a “misura di bambino”: essa non deve essere né eccessivamente tenero e protettivo né deve lasciare nelle mani dei minori la responsabilità della decisione, sempre nella direzione di mantenere una forma di equilibrio tra le due istanze di autonomia vs protezione, diritti dei minori e doveri degli adulti nei loro confronti. Un sistema giudiziario a misura di minore protegge i giovani dalle difficoltà, si assicura che abbiano voce in capitolo, tiene in debita considerazione le loro parole e le interpreta senza mettere in pericolo l’attendibilità della giustizia o l’interesse superiore del minore. “La giustizia dovrebbe essere amica dei minori. Non dovrebbe camminare davanti a loro, perché potrebbero non seguirla. Non dovrebbe camminare dietro di loro, perché i minori non dovrebbero avere la responsabilità di scegliere il cammino. La giustizia dovrebbe camminare al loro fianco ed essere loro amica” (Buquicchio, 2012).

Bibliografia

Babel, M. F. (2008). Il diritto di esprimere opinioni e ad essere ascoltato. In V. Belotti & R. Ruggero (a cura di), Vent’anni d’infanzia: retorica e diritti dei bambini dopo la Convenzione dell’Ottantanove (pp. 157-172). Milano: Guerini studio.

Buquicchio, M., B. (2012). Prefazione. In Consiglio d’Europa (a cura di), Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore (pp. 10). Office of the European Union.

Cesaro, G. (2006). L’ascolto del minore nella separazione di genitori: le riflessioni della difesa. In Minorigiustizia, 4, pp. 155-163.

Consiglio d’Europa (2012). Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore. Office of the European Union.

Domanico, M. G. (2008).”L’ascolto del minore nei procedimenti civili.” Relazione alla Camera minorile di Milano.

Fadiga, L. (2006). Problemi vecchi e nuovi in tema di ascolto del minore. In Minorigiustizia, 4, pp. 132-143.

Pazè, P. (2004). L’ascolto del minore. Psicanalisi e metodo, 4, 57-90.

Togliatti, M., M. (2012). Linee guida per l’ascolto del minore nelle separazioni e divorzi. In Ordine degli psicologi del Lazio.

Articolo scritto dalla dott.ssa Vanessa Rigamonti

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