Allenare la propria “finestra di tolleranza”
Allarme rosso: uscita dalla zona di attivazione ottimale!

Nell’articolo precedente, Le sfumature della quarantena. Comprendere e affrontare le emozioni, abbiamo sottolineato l’importanza di porsi in ascolto del proprio mondo interiore, allenandosi a riconoscere pensieri, sensazioni, reazioni fisiologiche che indicano cambiamenti nel nostro livello di attivazione.

  • È come un pugno in pieno stomaco”,
  • “Avverto un peso sul petto”, “
  • Sento il cuore che scalpita, come se stesse per esplodere”,
  • “mi sento spento”, “la testa si svuota”, “
  • è un nodo alla gola”,
  • “il respiro corto”


Sono alcuni dei segnali che potreste aver individuato monitorando le vostre oscillazioni emotive, quei segnali che ci indicano che stiamo per uscire dalla nostra finestra di tolleranza o zona di attivazione ottimale (
articolo “Le sfumature della quarantena. Comprendere e affrontare le emozioni). 

Non preoccupatevi inizialmente risulta un po’ difficoltoso sintonizzarsi sul proprio mondo interno (emozioni, sensazioni corporee e pensieri), tutto ciò è perfettamente normale! Spesso non dedichiamo molto tempo ad ascoltarci, non siamo allenati a farlo.

La maggior parte delle volte siamo presi da impegni, faccende, compiti da portare a termine e siamo trascinati dalla frenesia del quotidiano. Capita di sovente di trovarsi in balia dei propri stati emotivi, all’improvviso, senza riuscire a collegare emozioni, pensieri ed eventi:

“Non so, non è successo nulla, ero agitato/a…non so dove sentissi principalmente questa agitazione…testa, petto, cuore…”,
“Mi sono accorto/a di essere spossato/a, staccato da tutto, così…”
.

Tutto ciò contribuisce a rendere il vissuto più sovrastante, privo di senso…dunque spaventoso.


Il primo importante passo è dunque proprio riconoscere quali sono le nostre risposte somatiche ed emotive, iniziando a collegarle agli eventi che le hanno generate e notando così come esse non ci piombino addosso per caso.

Iniziare a riconoscere le sensazioni e gli eventi interni che ci avvertono che stiamo per uscire da quello che è il nostro livello di attivazione ottimale è un presupposto importantissimo.

Pensate un po’ a queste sensazioni come ad un rilevatore di fumo: prima che l’incendio prenda il sopravvento, il rilevatore vi avvisa del “pericolo”, così si può correre ai ripari! Proprio conoscendo i nostri vissuti corporei è possibile lavorare per  passare dalle reazioni alle azioni, per scegliere che direzione dare al nostro comportamento, alla nostra vita.


Ovviamente, come abbiamo visto, le emozioni di per sé non costituiscono una minaccia, anche quelle che normalmente etichettiamo come “negative”, sono in realtà profondamente utili e necessarie per la sopravvivenza. Tuttavia, può accadere che, nel corso della nostra storia, si sia imparato che alcune emozioni non possono essere sperimentate o espresse, che non è sicuro provarle.

Magari non ci hanno insegnato a riconoscerle e a regolarle. Per questo, quando questi sentimenti emergono, essi ci paiono “intollerabili”, ci sentiamo invasi e sballottati da questi vissuti o ricorriamo allo spegnimento totale, ad una sorta di anestesia emotiva. In entrambi i casi, sia se ci iper-attiviamo che se ci ipo-attiviamo, ci disconnettiamo dalla nostra esperienza presente, rinunciamo alla connessione con noi stessi e ciò che ci sta intorno (comprese le persone).

È come se il nostro corpo e la nostra mente, in quei momenti, fossero bloccati in risposte difensive legate al sistema di attacco-fuga (iper-attivazione) o di collasso-spegnimento (ipo-attivazione), ciò ci allontana dalla vita presente, togliendoci la possibilità di essere pienamente coinvolti in ciò che accade (Van del Kolk, 2015).

Come possiamo iniziare ad allenare le nostre capacità di mantenerci all’interno della zona di attivazione ideale?

Se riusciamo a trovare delle strategie per ancorarci al qui ed ora, saremo anche maggiormente in grado di gestire le nostre emozioni, anche quelle più “difficili”.
Nella vita di tutti i giorni, per regolare la nostra attivazione emotiva, ricorriamo a due principali modalità:

  • La co-regolazione, o regolazione interattiva. Se siamo spaventati, in ansia, tristi, sconfortati, chiediamo spesso aiuto e conforto alle persone di cui ci fidiamo. Gli altri possono fornirci una prospettiva alternativa sui problemi o semplicemente rassicurarci con la loro presenza.
  • L’auto-regolazione. In alcuni casi, riusciamo a confortarci, calmarci, gestire le sensazioni sgradevoli in autonomia, attraverso modalità che abbiamo appreso (attività sportiva, esercizi calmati…).

Tuttavia, alcune persone sperimentano difficoltà nel chiedere aiuto: magari hanno imparato fin da piccoli che mostrarsi vulnerabili è rischioso, oppure che gli altri non sono in grado di sintonizzarsi sui loro bisogni, quindi chiedere supporto non porta solo ad ulteriori delusioni. Sono convinte di poter far conto su se stesse, non potendo far affidamento sugli altri. Altre persone, al contrario, sono persuase di non poter fare a meno di un aiuto esterno, credono che da sole sarebbero perse.


In entrambi i casi una modalità di regolazione viene meno e questo può essere svantaggioso.
Queste credenze derivano principalmente dalle esperienze che le persone hanno avuto nella loro vita, a partire dai primissimi legami di attaccamento con le figure primarie (Bowlby, 1989). Spesso, uno degli obiettivi della terapia consiste proprio nell’individuare e modificare queste rappresentazioni di sé e degli altri (modelli operativi interni), al fine di instaurare relazioni più soddisfacenti e migliorare la propria qualità di vita.

Tuttavia, vi sono alcune strategie di regolazione emotiva, suggerite da Boon, Steel e Van der Hart (2013), che possono essere sperimentate fin da subito per gestire i momenti di difficoltà dovuti all’iper- e all’ipo-attivazione.

Suggerimenti per gestire l’ipo-arousal, ovvero il sentire troppo

Con l’iper-attivazione, il nostro sistema nervoso simpatico si attiva in modo massivo ed ecco che emozioni e sensazioni corporee ci fanno sentire invasi, sovrastati, sopraffatti. In quei momenti sembra difficilissimo calmarsi, i pensieri si succedono rapidissimi, il disagio è così elevato che ci sembra di non poter tollerare quei sentimenti, il tempo si dilata.

Avendo seguito i passi suggeriti nell’articolo precedente, probabilmente siamo in grado di riconoscere le situazioni e gli eventi che più frequentemente generano in noi una forte attivazione (scadenza a lavoro, la paura del giudizio, notizie circa i contagi da coronavirus…).

Abbiamo anche iniziato a prendere consapevolezza dei primi segnali che ci indicano che stiamo per uscire dalla nostra finestra di tolleranza. È quando queste prime sensazioni si palesano che potremmo iniziare a sperimentare alcune modalità per fare spazio all’emozione senza trovarci in balia di essa:

  • RICONOSCIMENTO EMPATICO DELL’EMOZIONE

Quando si sente troppo è importante individuare delle modalità per rassicurarsi e confortarsi. Ciò non corrisponde a cercare di non provare quell’emozione.

Al contrario, prima di tutto è importante riconoscere cosa si sta provando in modo empatico e non giudicante (“Mi sento molto arrabbiato/a, in ansia, avverto la paura…”). Potrebbe essere utile trovare dei modi che ci aiutino ad esprimere ciò che sentiamo: è possibile che risulti più facile riflettere su ciò che si prova affidandosi alle pagine di un diario oppure disegnando…è importante trovare un canale per noi valido ed efficace!

  • CONTENIMENTO

Sappiamo che le emozioni fanno parte della nostra vita ed è normalissimo sperimentarle. Esse forniscono informazioni importanti, servono ad orientare le nostre azioni. Inoltre, anche se quando siamo iper-attivati sembra che le emozioni non passino mai,  esse hanno sempre un inizio, una fase intermedia e una fine. Individuare ciò che ha scatenato l’iper-attivazione ci aiuta a ricordarci che quella sensazione è cominciata a seguito di un certo evento, prima ci sentivamo in un altro modo, quindi siamo in grado di connetterci e sperimentare con stati mentali ed emotivi differenti, non saremo sempre in balia di quel vissuto!

Inoltre, nei momenti di iper-attivazione esercizi di respirazione e la mindfulness sono degli alleati preziosi: utilizzando qualcosa che abbiamo sempre a disposizione (respiro e i nostri stessi sensi) possiamo riconnetterci profondamente con il momento presente, con quelle che sono le nostre risorse e possibilità, sentendoci più centrati e in grado di affrontare la situazione in modo adattivo.

A tal proposito, ci tornano davvero utili i podcast mindfulness proposti!

  • RIFOCALIZZAZIONE

In alcuni momenti, focalizzare l’attenzione su altre attività che generano in noi sensazioni positive potrebbe essere un modo per abbassare un poco l’iper-arousal. È importante sottolineare come distrarsi non equivalga ad evitare. La differenza sta proprio nella natura consapevole e temporanea della scelta: non si cerca di ignorare emozioni e sentimenti, ma ci concediamo un attimo di tempo per sentirci più presenti, recuperare le energie e sintonizzarci sulle nostre abilità di coping (capacità di far fronte alla situazione).

Le attività che potrebbero rivelarsi utili sono molteplici: l’attività fisica si rivela molto efficace per la gestione di ansia o rabbia, potrebbe essere utile ascoltare della musica o leggere un libro, oppure chiamare una persona fidata per una chiacchierata (sfruttando anche gli effetti della co-regolazione!).

Suggerimenti per gestire l’iper-arousal, ovvero il sentire troppo

Se alcune emozioni risultano per noi davvero intollerabili, non ci sentiamo in grado di regolarle e di rimanere in contatto con esse senza farci travolgere, potrebbe capitare che la nostra reazione sia quella di intorpidimento emotivo, detto anche numbing (Van Der Kolk, 2015), si sente troppo poco, In questi casi il nostro corpo e la nostra mente potrebbero “spegnersi”, ci si può sentire incapaci di pensare, ovattati, profondamente spossati, incapaci di reagire o rispondere alle persone intorno. A volte si avverte il bisogno di dormire, disconnettendosi totalmente dall’esperienza. Tali risposte sono connesse con l’attivazione delle reazioni di difesa arcaiche del nervo vago dorsale (Porges, 2018).
Quali strategie possiamo iniziare a utilizzare se ci riconosciamo in questo tipo di risposta alle emozioni?

  • CERCARE DI ATTIVARSI PRIMA DI TUTTO FISICAMENTE

Quando siamo in ipo-attivazione il nostro corpo abbassa il livello di attivazione, rallenta la respirazione e il battito cardiaco, i muscoli scivolano gradualmente verso l’ipotonia, le energie impiegate per il funzionamento sono ridotte. È davvero importante cercare non assecondare la tendenza a bloccarsi e a disconnettersi sempre più. Se ci si sente paralizzati, potrebbe essere utile partire da piccoli movimenti, come stringere ed aprire i pugni, cercando di inviare energia alle varie zone del corpo. Quando è possibile, è utile alzarsi in piedi e muoversi (anche solo saltellare sul posto) per far salire il livello di attivazione.

  • ATTIVAZIONE MENTALE

A questo punto è fondamentale radicarsi nel  presente, cercando di portare la consapevolezza a quello che ti circonda (grounding). Si può prestare attenzione ai rumori intorno, gli odori, descrivere nella propria mente ciò che si trova intorno…anche in questo caso la mindfulness è di grande aiuto.

Queste tecniche possono essere utili per prendere maggiore dimestichezza con le proprie emozioni, per divenire più curiosi rispetto ad esse, per dare loro un pochino più di spazio, riducendo l’ansia, la paura o la vergogna sperimentate verso i propri vissuti.
In questo modo possiamo allenare la nostra finestra di tolleranza, sentendoci più sicuri ed efficaci nel gestire le situazioni.

A volte, notare le emozioni e prendere contatto con il proprio vissuto, senza assumere un atteggiamento giudicante, risulta molto difficile. Altre volte la paura o la vergogna sono troppe e sintonizzarsi con la propria esperienza interna non sembra possibile. Può essere che in alcuni momenti ci si senta completamente fusi con l’emozione, avvinghiati. Altre volte, i vissuti sono stati così intensi che l’unica risposta possibile sembra anestetizzarsi totalmente. In questi casi potrebbe essere d’aiuto chiedere un supporto specialistico, per riuscire a fare spazio a tutte le sfumature della propria esperienza in modo flessibile e adattivo.

BIBLIOGRAFIA

Boon, S,; Steele, K.; Van Der Hart, O. (2013). La dissociazione traumatica comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis Edizioni

Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Porges, S.W. (2018).La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Roma: Giovanni Fiorentini Editore

Van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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