Conosciamo tutti il malato immaginario della commedia di Molière, quel buffo personaggio che trascorre il suo tempo a cercare malattie inesistenti ed è sempre alla ricerca di nuove cure e nuovi farmaci, convinto di essere afflitto da tutti i mali del mondo.

Ebbene è proprio questo che accade a chi soffre di ipocondria: l’ipocondriaco tiene continuamente sotto controllo il proprio stato di salute e ricerca attivamente la presenza di eventuali sintomi, spinto dal timore di avere una malattia grave o addirittura mortale.

Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) definisce l’ipocondria come “la preoccupazione legata alla paura oppure alla convinzione di avere una malattia grave basata sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto”, “la preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriata” e “la durata dell’alterazione è di almeno 6 mesi”.

Il problema è che l’ipocondriaco non riconosce la vera natura del suo problema, ma si concentra solo su quella che ne è la conseguenza: la vera preoccupazione non riguarda la malattia in sé, ma riguarda il timore di non essere capace di affrontare l’angoscia e la paura che si proverebbero di fronte ad una malattia, come anche la paura di non saperla gestire materialmente.

L’origine del problema dunque non è fisica ma psicologica, ma l’ipocondriaco non lo riconosce e continua a concentrarsi sulla ricerca della soluzione medica alla malattia; tutto ciò porta come conseguenza il non riuscire mai a trovare una risposta adeguata al malessere perché non viene mai affrontato il vero problema, ovvero il forte senso di vulnerabilità, debolezza, fragilità,  impotenza e pericolo che si cela dietro all’ipocondria.

Origine dell’ipocondria

Secondo la letteratura scientifica, sono diverse le cause che possono facilitare la manifestazione dell’ipocondria: una predisposizione genetica, l’aver avuto una grave malattia durante l’infanzia, l’aver subito abusi fisici o sessuali.

Ci sono poi fattori che contribuiscono al mantenimento di tale psicopatologia, i cosiddetti vantaggi secondari della malattia, chiaramente non consapevoli, come l’avere maggiori attenzioni da parte di familiari e amici o la possibilità di essere esonerati da alcuni compiti, evitando le proprie responsabilità.

L’ipocondria sembra essere rara nel periodo dell’infanzia e più frequente tra adolescenti e anziani; inoltre sembra manifestarsi più frequentemente nelle donne che negli uomini.

Sintomatologia dell’ipocondria

I principali sintomi dell’ipocondria sono i seguenti:

  • Paura di avere una malattia grave o addirittura mortale;
  • L’essere attenti ad ogni piccolo cambiamento somatico;
  • Il tenere costantemente sotto controllo il corpo, cercando attivamente la presenza di eventuali segni di malattia;
  • Il richiedere frequentemente visite mediche e test diagnostici, anche se l’esito favorevole degli esami non riduce la preoccupazione; anzi spesso gli ipocondriaci sono convinti che i medici non siano abbastanza competenti;
  • L’interpretare in modo erroneo segnali fisici innocui o del tutto normali come il battito cardiaco o la sudorazione o leggere alterazioni fisiche come il raffreddore o un colpo di tosse;
  • L’aumentare l’attenzione di fronte a un pericolo o cercare continue rassicurazioni.

In realtà, come già detto, il vero problema non è tanto la malattia in sé quanto il sentirsi incapaci di poter far fronte materialmente ed emozionalmente alla situazione temuta. L’ipocondriaco infatti è convinto di non essere capace di mettere in atto risposte adatte a trovare una soluzione in caso di malattia, oppure di non essere in grado di prevenire l’evento temuto. Si sente debole e fragile sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista emozionale e caratteriale.

La psicoterapia cognitivo comportamentale risulta essere particolarmente efficace per il trattamento di tale disturbo, poiché aiuta ad individuare quali sono le credenze e convinzioni riguardanti la propria persona che contribuiscono alla creazione  e mantenimento dell’ipocondria, affrontando così il “vero” problema.

Sassaroli, S., Lorenzini, R., Ruggiero, G.M.  (2006). Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Articolo scritto dalla dr.ssa Annarita Scarola, Psicologa e Psicoterapeuta

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