Lo studio del conflitto e del pregiudizio tra gruppi ha una lunga storia nella psicologia sociale, al fine di comprendere quali fattori governano il comportamento e gli atteggiamenti degli individui nei confronti dei membri di altri gruppi.

Possiamo definire il pregiudizio come il mantenimento o l’espressione di atteggiamenti dispregiativi, di emozioni negative o di condotte discriminatorie nei confronti nei membri di un gruppo esterno, motivati dall’appartenenza di queste persone a quel gruppo esterno.

Quali sono le cause per cui si possono sviluppare dei pregiudizi nei confronti di un gruppo sociale?

Pregiudizio tra gruppi e teoria della frustrazione-aggressività

Secondo Dollard (1939) lo sviluppare un pregiudizio verso un gruppo sarebbe riconducibile ad una frustrazione subita, dove per frustrazione si intende ogni interferenza con il soddisfacimento di un bisogno elementare che produce, secondo questa ipotesi, un aumento di attivazione e un’istigazione ad aggredire.

Spesso l’aggressività non può dirigersi alla fonte reale della frustrazione e viene allora “spostata” su un obiettivo diverso. Qualunque sia la ragione della sua origine, l’aggressività deve comunque trovare uno sbocco e viene in tal modo spostata su bersagli sostitutivi, di solito quelli nei confronti dei quali esistono meno inibizioni.

Minoranza e pregiudizio tra gruppi

Per esempio, i membri di qualche gruppo di minoranza (questa teoria è stata per esempio utilizzata per spiegare la crescita dell’antisemitismo in Germania fra le due guerre. Il fatto che Hitler fosse in grado di trovare un pubblico così ricettivo nei confronti delle sue idee razziste fu dovuto, secondo Dollard, il decennio precedente di frustrazioni causate dal crollo dell’economia tedesca negli anni Venti).

Inoltre, da vari studi è emerso che il capro espiatorio che viene scelto più facilmente è un gruppo verso cui si era precedentemente provata antipatia o verso cui già c’era stato un conflitto.

Teoria della deprivazione relativa

Secondo questa teoria, formulata da Gurr nel 1970, gli individui diventano scontenti e ribelli quando percepiscono l’esistenza di una discrepanza tra lo standard di vita di cui godono e quello di cui credono di dover godere.

Per deprivazione relativa si intende infatti questo scarto tra i risultati e le aspettative.

Questa percezione di deprivazione – e di conseguenza il conflitto – diventa molto più forte se:

  • Ci si confronta con altri individui in quanto membri appartenenti ad un gruppo ben preciso (per esempio donne vs uomini);
  • Si prova un maggiore senso di deprivazione collettiva (in quanto membri appartenenti ad un gruppo) piuttosto che sentirsi deprivati su un piano personale. Per esempio, vari studi hanno dimostrato che le donne che provano un maggiore senso di insoddisfazione dal punto di vista socioeconomico sono quelle che tendono più a mettersi a confronto con gli uomini (presi come gruppo antagonista). Allo stesso tempo appartengono ad associazioni femministe e sono più impegnate in azioni di cambiamento sociale, poiché questo porta a sperimentare un maggiore senso di identificazione con il sesso femminile come gruppo;
  • È presente la credenza che ci siano i presupposti per poter determinare qualche cambiamento sociale (per esempio attraverso la protesta o lo sciopero). Per quanta rabbia possano provare i membri del gruppo svantaggiato, se non vedono alcun mezzo per raddrizzare le cose difficilmente saranno disposti a fare qualcosa per migliorarle;
  • Ci si confronta con persone “simili”: per esempio le donne possono portare avanti una battaglia sull’uguaglianza dei diritti rispetto agli uomini. Il senso di ingiustizia e deprivazione saranno ancora più forti se si confrontano con donne (quindi simili, appartenenti alla stessa categoria), che in effetti percepiscono uno stipendio più alto e godono di maggiore riconoscimento sociale.

Teoria del conflitto realistico nel pregiudizio tra gruppi

Secondo questa teoria, dove ci sono degli interessi in conflitto allora è più facile che sorga rivalità e conflitto tra gruppi (Sherif & Sherif, 1953).

Per dimostrare ciò, questi ricercatori hanno condotto un esperimento, che possiamo dividere in tre parti:

  • Formazione del gruppo: hanno organizzato un campo estivo a cui hanno invitato ragazzi tutti bianchi, di classe media, intorno ai 12 anni di età e che non si conoscevano prima di andare al campo (per evitare la presenza di ulteriori pregiudizi che potessero interferire).
  • Creazione del conflitto: i ricercatori dividono i ragazzi in due gruppi, annunciando che avrebbe avuto luogo una serie di competizioni tra gruppi (per esempio softball, tiro alla fune, ecc.). Il gruppo vincitore di queste competizioni avrebbe ricevuto una coppa e a ciascun membro del gruppo vincente sarebbe stato dato un coltellino nuovo fiammante (introduzione del conflitto di interessi), mentre i perdenti non avrebbero ricevuto nulla;
  • Riduzione del conflitto: in seguito i ricercatori misero in atto una serie di gesti finalizzati alla risoluzione del conflitto e alla creazione di cooperazione tra i gruppi.

Fase di creazione del conflitto

Nella fase di creazione del conflitto, è interessante notare come molto rapidamente, al proprio interno, i membri di ciascun gruppo diventarono più coesi, svilupparono una struttura interna, mini-culture distinte con i simboli e i nomi del proprio gruppo e norme interne di comportamento.

Inoltre, entrambi i gruppi sovrastimavano le prestazioni dei propri componenti rispetto a quelle dei membri del gruppo avversario, mentre tendevano a screditare e a sviluppare comportamenti aggressivi verso i membri del gruppo esterno.

Si deduce pertanto che gli scopi conflittuali portano velocemente allo sviluppo di ostilità tra i gruppi, all’emergere di biases (distorsioni di pensiero) competitivi a favore del gruppo di appartenenza e alla coesione interna nel gruppo.

Pregiudizio tra gruppi: fase dell’esperimento

In una fase successiva dell’esperimento, i ricercatori cercarono di fare in modo che i gruppi non fossero più in competizione tra loro ma creassero una relazione basata sulla cooperazione.

Per fare ciò cercarono di ridurre il conflitto introducendo una serie di scopi sovraordinati per i gruppi. Cioè scopi che entrambi i gruppi desiderassero ma che non fossero raggiungibili con gli sforzi di un solo gruppo (per esempio finsero che l’autocarro del campo si fosse rotto a qualche miglio di distanza dalla sede mentre trasportava i ragazzi i quali, avendo un chiaro interesse comune nel far sì che l’autocarro ripartisse -anche perché era quasi ora di pranzo-).

L’automezzo era troppo pesante perché un gruppo da solo potesse spingerlo fino a farlo ripartire e quindi entrambi i gruppi furono costretti a collaborare. Si osservò man mano (ci furono diverse esposizioni a situazioni di questo tipo) un notevole cambiamento nel comportamento dei ragazzi: diventarono molto meno aggressivi verso i membri dell’altro gruppo e mostrarono una diminuzione nella quantità di favoritismo verso il gruppo di appartenenza.

Tuttavia, quando si tratta di gruppi “veri” in competizione tra loro, è emerso da studi successivi che il mero cooperare in vista dello stesso scopo sovraordinato non è sufficiente. Non ci si può “mischiare” come se niente fosse, poiché i membri dei due gruppi, talmente ostili tra loro, potrebbero rifiutarsi di farlo. In questi casi è necessario far sì che ciascun gruppo conservi parte della sua identità nell’attività congiunta (per esempio assegnando ai due gruppi compiti distinti da svolgere, ma comunque finalizzati al raggiungimento di uno scopo comune, oppure compiti molto simili ma da svolgere separatamente).

psicologa milano annarita scarola

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Bibliografia

Brown, R. (2000), Group Processes, Dynamics within and between Groups, Oxford, Blackwell Publishers Ltd.

Dollard, J., Doob, L.W., Miller, N.E., Mowrer, O.H. e Sears, R.R. (1939), Frustration and Aggression, New Haven, Conn., Yale University Press; trad. It. Frustrazione e aggressività, Firenze, Giunti, 1967.

Gurr. T.R. (1970), Why Men Rebel, Princeton, N.J., Princeton University Press.

Sherif, M. e Sherif, CW. (1953), Groups in Harmony and Tension: An Integration of Studies on Intergroup Relations, New York Octagon Books.

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