L’alleanza terapeutica può essere considerata, a tutti gli effetti, come il primo elemento costitutivo e fondamentale della terapia.

Per quanto infatti l’alleanza terapeutica, non costituisca un elemento terapeutico di per sé, possiamo però dire che è la base dell’efficacia di qualsiasi terapia.

Anzi possiamo dire che è la base di qualsiasi terapia.

Diversi studi hanno infatti dimostrato come l’alleanza terapeutica risulti essere il miglior predittore dell’esito della terapia, dimostrandone così l’estrema rilevanza all’interno del contesto clinico (Horvath & Symonds, 1991; Martin, Garske & Davis, 2000).

Cos’è l’alleanza terapeutica

L’alleanza terapeutica si delinea come un costrutto rilevante a partire dalle prime teorie psicoanalitiche freudiane, fino a diventare oggigiorno un elemento importante trasversalmente a tutte le diverse correnti psicoterapeutiche.

In linea generale, essa può essere definita come la fiducia che si viene a creare tra paziente e terapeuta e che permette la strutturazione del lavoro psicoterapeutico all’interno di una relazione in costante divenire.

Al netto delle diverse teorie dell’atto psicoterapeutico, Bordin (1979) propone una definizione trasversale dell’alleanza terapeutica, teorizzandola come la combinazione di:

  • accordo tra paziente e terapeuta sugli obiettivi generali verso i quali è diretto il trattamento;
  • accordo tra paziente e terapeuta sui compiti della terapia, ovvero sulle attività specifiche (implicite o esplicite) che il paziente deve affrontare per trarre beneficio dal trattamento;
  • sviluppo di un legame interpersonale e affettivo, ovvero la qualità della relazione.

All’interno di una relazione di cura in cui il terapeuta accompagna il paziente all’interno del percorso terapeutico, si costruisce una modalità di lavoro fatta di scambi reciproci, di fiducia e condivisione, che permette al paziente di sentirsi a proprio agio, compreso e accolto e al terapeuta di agire con competenza, conoscenza ma soprattutto empatia verso il paziente.

Paziente e terapeuta, quindi, collaborano al fine di raggiungere uno scopo comune, che generalmente riguarda la cura e il benessere del paziente stesso, ognuno rispettando il proprio ruolo e assolvendo i propri compiti.

La relazione terapeutica si delinea così come l’incontro tra un esperto, che cerca di comprendere le problematiche dell’altro e le condizioni determinanti, e un paziente, che cerca di migliorare la qualità della propria vita attraverso la comprensione di sè e delle sue principali dinamiche disfunzionali (Sullivan).

In questo incontro, terapeuta e paziente si influenzano e condizionano reciprocamente: pur rimanendo costante la non-pariteticità delle posizioni, la relazione si costruisce comunque come reale e concreta, in una reciproca corrispondenza che comprende anche le percezioni non distorte, gli autentici sentimenti di simpatia, fiducia e rispetto reciproco, le norme di buona relazione e anche le convenzioni legate ai ruoli.

Ad esempio, il paziente si aspetta di ricevere prima domande e poi interpretazioni dal terapeuta e la trasgressione di queste regole implicite che regolano tale relazione può essere fonte di disagio e sconcerto. In quest’ottica, l’alleanza terapeutica viene costantemente mediata dal modo in cui il paziente percepisce il significato delle azioni del terapeuta.

Il risultato dell’interazione è quindi determinato in larga parte dalla percezione che si ha dell’altro e dell’ambiente contestuale: ogni negoziazione, compresa quella psicoterapeutica, è sì incentrata sui problemi in gioco, ma coinvolge anche i sentimenti e le relazioni interpersonali. In questo senso, qualsiasi cosa i pazienti possano esternare allo psicoterapeuta ha relativamente pochi effetti benefici sulla vita di tutti i giorni del paziente (Bandura, 1969), ma, in aggiunta alla tecnica e alle caratteristiche personali del psicoterapeuta, sono più variabili come l’empatia e il significato attribuito ai movimenti del terapeuta ad avere un’importanza cruciale rispetto all’efficacia e all’esito della psicoterapia.

La costruzione dell’alleanza terapeutica

Fin dalle prime formulazioni del cognitivismo si sottolinea come il terapeuta debba essere in grado di offrire al paziente un genuino contatto umano, una giusta comprensione empatica ed un atteggiamento di apertura, al fine di promuovere la costruzione di una relazione terapeutica forte, facilitante l’identificazione degli obiettivi terapeutici e l’esecuzione dei compiti da svolgere (Beck et al. 1979). 

Nella prospettiva attuale, una buona alleanza terapeutica scaturisce da un accordo tra motivazioni interpersonali diverse, quella del terapeuta e del paziente, e costituisce l’obiettivo di ogni trattamento psicoterapico, poiché ritenuta condizione necessaria per l’esplorazione dei contenuti emotivi e cognitivi (Liotti 2010).

Indipendentemente dall’approccio, tuttavia, ciò che conta è l’instaurarsi di una relazione di fiducia da parte del paziente nei confronti del terapeuta, poiché solo attraverso lo sviluppo di questo elemento, il processo di cambiamento terapeutico potrà effettivamente attivarsi, permettendo di raggiungere gli obiettivi desiderati.

Tra i fattori che possono influenzare la costruzione e il mantenimento dell’alleanza, vi sono:

  • La condivisione esplicita di obiettivi e compiti, al fine di avere ben chiaro lo scopo, i passi da seguire e la comprensione delle strategie utilizzate;
  • La presenza di un clima il più possibile accogliente, attento e di ascolto;
  • La capacità e competenza del terapeuta nell’accogliere il bisogno del paziente, accompagnandolo nell’esplorazione di tematiche delicate e faticose;
  • L’abilità del terapeuta ad entrare in sintonia con il vissuto del paziente senza farsi trasportare e coinvolgere, ma mantenendo comunque una posizione empatica;
  • Il supporto e l’aiuto fornito al paziente nella comprensione del suo funzionamento e dello scopo della psicoterapia, in modo da permettergli di sentirsi coinvolto al fine di assumere un ruolo attivo e proattivo;
  • L’influenza di vissuti, pensieri e aspettative del paziente sul modo di approcciarsi sia al terapeuta sia al percorso, determinando sia eventuali criticità sia punti di forza. L’idea che il paziente ha rispetto all’aiuto psicoterapeutico definisce, infatti la maggiore o minore apertura al lavoro, permettendo o meno la collaborazione clinica;
  • La gravità psicopatologica con cui il paziente inizia il percorso di cura ed eventuali deficit metacognitivi e di modulazione emotiva, che possono creare confusione nel dialogo, povertà contenutistica, dialoghi monotematici o scarsa motivazione al cambiamento.

 

Vista la molteplicità di fattori in gioco, risulta essere molto complesso riuscire a valutare la relazione e la forza della stessa in termini di alleanza, ma, nonostante questo, tali costrutti risultano essere dirimenti per quanto concerne l’efficacia o meno degli interventi. In questo senso, è bene tenere a mente che la cooperazione all’interno di un percorso di psicoterapia è da costruire attivamente fin dalle prime battute dello stesso e mai da dare per scontata. Inoltre, è anche un aspetto che nel tempo occorre rinforzare e monitorare, dal momento che può andare incontro a flessioni, rotture e riparazioni.

Rotture e riparazioni dell’alleanza terapeutica

I processi relazionali fra il terapeuta ed il paziente normalmente non sono un focus esplicito fintanto che terapeuta e paziente non incontrano difficoltà che interferiscono con il lavoro terapeutico.

Tali momenti di impasse, nel processo di negoziazione, offrono al terapeuta una preziosa opportunità per identificare e comprendere il tipo di credenze, aspettative e valutazioni interpersonali che il paziente utilizza e che rivestono un ruolo centrale nel mantenimento di cicli interpersonali e cognitivi disfunzionali.

Ad esempio, facendo riferimento a quanto teorizzato da Bordin (1979), paziente e terapeuta possono trovarsi in disaccordo per quanto attiene i compiti e gli obiettivi del percorso o possono anche incorrere in problematiche relative al legame affettivo.

Nel primo caso, il terapeuta può decidere se evidenziare tale disaccordo in modo indiretto, cioè riformulando il significato degli stessi o rinegoziandoli con il paziente, oppure in maniera diretta, incoraggiando il paziente ad esprimere i propri obiettivi, predisponendo compiti facilitanti la comprensione o anche lavorando sulla comprensione del disaccordo sulla base dei temi relazionali fondamentali.

Analogamente, per quanto riguarda i problemi associati al legame relazionale, il terapeuta può decidere di fare una focalizzazione diretta, chiarendo le incomprensioni ed esplorando i temi relazionali fondamentali, o una focalizzazione indiretta, alleandosi con la resistenza del paziente in una nuova esperienza relazionale. Quest’ultima modalità risulta essere più efficace in caso di flessioni dell’alleanza e se il paziente ha un accesso per lo meno parziale alle funzioni autoriflessive e al sistema cooperativo.

Invece, in caso di vere e proprie rotture sarebbe bene affrontare subito e in maniera diretta la questione, focalizzandosi sul momento presente. Quest’ultima modalità risulta essere la più efficace anche nei casi psicopatologici più gravi.

Test al terapeuta

I pazienti lavorano lungo tutto il corso della terapia per disconfermare le loro credenze patologiche, tentando inconsciamente di sottoporle a verifica nel rapporto con il terapeuta (Weiss, 1996).

Sulla base dei propri significati personali e delle relative rappresentazioni mentali, il paziente, quindi, sottopone il terapeuta a continui test per valutarne l’affidabilità e il grado di sicurezza interpersonale che è capace di garantirgli. Se tali test vengono superati, il paziente si permette di riporre veramente la propria fiducia nel terapeuta, attribuendogli il ruolo di figura autorevole nonché di esempio relativamente ai punti di vista e alle possibilità di regolazione comportamentale ed emotiva (Semerari, 2022).

Dall’altro canto, è il terapeuta che crea le condizioni affinché il paziente possa internalizzare la sua figura di guida e base sicura, con l’obiettivo di fare esperienza di situazioni interpersonali costruttive e funzionali, influenzando così i significati personali del Sé e del Sé in relazione con l’altro.

In questo senso, il processo di riparazione dell’alleanza in seguito ad una rottura rappresenta un fattore terapeutico di grande importanza, poiché, se da un lato permette la prosecuzione del trattamento, dall’altro consente al paziente di esperire relazioni che non si limitano a non funzionare, ma che, una volta riconosciuto il problema, possono essere ricucite e addirittura migliorate, andando così a facilitare un cambiamento in senso più adattivo degli schemi interpersonali. 

Dunque, la relazione terapeutica, oltre ad essere un laboratorio che facilita la conoscenza degli schemi interpersonali, favorisce esperienze emozionali correttive dei cicli interpersonali disadattavi, ovvero delle modalità relazionali del paziente che incidono in maniera negativa sulla qualità della vita, facilitando nel paziente processi di identificazione o apprendimento di atteggiamento del terapeuta.

Tipi di rottura dell’alleanza terapeutica

Safran e Muran (2019) identificano due principali tipologie di rottura dell’alleanza terapeutica:

  • Da ritiro, nel momento in cui il paziente si ritira dal terapeuta e separa le proprie emozioni dalla terapia. Per fare ciò, il paziente nega, dà risposte minime, intellettualizza, cambia spesso tema, racconta aneddoti, parla di altri;
  • Da confronto, nel momento in cui il paziente esprime direttamente agonismo attraverso la manifestazione di rabbia, risentimento o disaffezione verso la terapia o il terapeuta. Il paziente riporta direttamente in seduta lamentele sul terapeuta, sull’attività della terapia, sull’essere in terapia e sui successi terapeutici.

Le fratture da confronto hanno maggiore probabilità di provocare nel terapeuta intensi sentimenti di rabbia, impotenza e recriminazione. In questo senso, può essere difficile per il terapeuta gestire un’aggressione intensa da parte del paziente senza attivare agiti aggressivi controtransferali.

Ostacoli all’alleanza terapeutica

Jeffrey Joung, ideatore dell’approccio Schema Therapy, si è focalizzato in particolar modo su come gli schemi di terapeuta e paziente possano entrare in conflitto e determinare ostacoli alla costruzione e alla riparazione dell’alleanza terapeutica.

Per esempio, i bisogni del paziente possono essere incompatibili con gli schemi o gli stili di coping del terapeuta o, al contrario, possono essere identici, facilitando un’identificazione reciproca e facendo sì che il terapeuta risuoni con il paziente su temi personali non ancora risolti. 

In alternativa, le emozioni del paziente possono anche attivare un comportamento evitante o ipercompensante nel terapeuta, che potrebbe, ad esempio, spaventarsi e reagire con aggressività.

I pazienti, poi, potrebbero anche ritrovarsi a soddisfare i bisogni disfunzionali del terapeuta o suscitare invidia nello stesso.

In tutti questi casi, l’alleanza terapeutica risulta essere a rischio a tal punto che potrebbe essere meglio valutare l’invio del paziente ad un altro professionista. Di fondamentale importanza e rilevanza rimane comunque la formazione del terapeuta e il suo percorso clinico personale, nonché il ricorso ad intervisioni e supervisioni cliniche sui casi specifici al fine di prendere consapevolezza sia di sé come terapeuta e dei propri schemi di funzionamento personale sia dell’interazione specifica con lo specifico paziente.

Infatti, nel corso della terapia con ogni singolo paziente, al fine di poter assicurare il mantenimento di una relazione terapeutica e costruttiva, occorre che il terapeuta, oltre ad esplorare con il paziente i suoi stati d’animo, esplori e sia consapevole anche dei propri stati d’animo (senza necessariamente esplicitarli con il paziente), in modo da poter valutare online l’andamento dell’alleanza ai fini di una cooperazione verso l’obiettivo preposto.

In quest’ottica, Liotti e Monticelli (2014) definiscono l’alleanza terapeutica come “la quota di scambi tra paziente e terapeuta organizzata dal sistema motivazionale cooperativo e caratterizzati dalla percezione della pariteticità nell’impegno verso un obiettivo condiviso, pur nella differenza dei ruoli”.

L’alleanza va così incontro a rotture nel momento in cui fallisce la sintonizzazione sulla cooperazione. Sono, ad esempio, i casi in cui il terapeuta (anche per motivi apparentemente validi) non accoglie gli obiettivi del paziente, oppure viene compromessa la fiducia e/o la confidenzialità nel terapeuta o, ancora, si va incontro ad una mancata comprensione delle problematiche del paziente.

Riparazioni dell’alleanza

Riparazioni dell’alleanzaLe rotture dell’alleanza e le conseguenti riparazioni non sono solo un prerequisito per il cambiamento, ma l’essenza stessa del cambiamento. Nell’affrontare una rottura dell’alleanza, il terapeuta non dovrebbe considerarla un semplice malfunzionamento della relazione terapeutica, un inconveniente da risolvere al più presto, bensì un punto di partenza potenzialmente trasformativo: il paziente mostra in vivo al terapeuta i suoi problemi relazionali e il terapeuta, che in quel momento partecipa della relazione, ha la possibilità di discuterne con il paziente.

Come le rotture del paziente, anche gli interventi del terapeuta possono essere distinti in base alla dimensione dell’alleanza cui appartengono (scopi, compiti, relazione). Naturalmente gli interventi del terapeuta sono sempre interrelati: una riformulazione degli scopi della terapia veicolerà sempre un significato relazionale e viceversa (Lingiardi & Colli, 2003).

Muran e Eubanks (2022) si sono interrogati proprio su cosa dovrebbe fare un terapeuta durante una fase di rottura dell’alleanza, un momento di pressione e fatica. Secondo gli autori, il terapeuta dovrebbe accettare la presenza di rotture come parte normale e integrante di un processo terapeutico, riconoscendo i sentimenti che ne scaturiscono ed evitando di agire impulsivamente sull’onda delle emozioni del paziente.

Ad esempio, il terapeuta potrebbe essere spinto a rassicurare il paziente nel momento in cui quest’ultimo si ritira, confermandogli così di aver bisogno di essere rassicurato e di non essere autonomo.

Ciò che suggeriscono Muran e Eubanks è piuttosto di provare a sintonizzarsi con il paziente, esplorando insieme i tentativi di fuga dalla terapia e permettendogli di dare voce sia ai propri bisogni sia ai sentimenti negativi che hanno riguardo la terapia.

Vi sono, infatti, evidente relative al fatto che il processo di esplorazione delle paure e delle aspettative del paziente, che rende difficile esprimere i propri sentimenti negativi rispetto al trattamento, possa contribuire al processo di risoluzione delle rotture dell’alleanza (Safran et al., 2002).

Analogamente, anche nei casi di rottura più diretta, da confronto, il terapeuta può supportare il paziente nell’esplorare le emozioni provate, legittimando il vissuto e ricercando la collaborazione anche all’interno di una dinamica di rottura, senza, cioè, reagire simmetricamente al paziente.

Qualunque sia il tipo di rottura, lo scopo di questi interventi è quello di rendere più consapevole il paziente su come gestire altri rapporti personali” (Muran & Eubanks, 2022, p.55).

Gli aspetti su cui fare leva, in casi di rottura dell’alleanza, sono la regolazione emotiva e la metacomunicazione, osservando le dinamiche relazionali che stanno avendo luogo con l’obiettivo di comunicare riguardo alla transazione o alla comunicazione implicita che si sta verificando per poter raggiungere una maggiore consapevolezza nell’agire prima nel qui e ora e collegandolo poi alla propria storia passata.

L’alleanza ai tempi del Covid-19

Negli scorsi anni, a causa della pandemia, anche la psicoterapia ha dovuto modificarsi. Se prima erano pochi ad offrire la possibilità di percorsi da remoto, ora sembra quasi essere diventata la norma. Se questo da un lato comporta notevoli possibilità e vantaggi, quali ad esempio ampliare l’accesso, dall’altro comporta anche una rilevante modifica dell’assetto relazionale. Più difficile il contatto oculare, così come il riuscire a mantenere una focalizzazione intima e costante, con la conseguente perdita di sfumature affettive e di possibilità comunicative non verbali. Risulta così più complessa anche la valutazione del clima relazionale e dell’alleanza terapeutica, nonché la possibilità di rilevare i marker indici di flessioni o rotture della stessa. La lontananza fisica sembra anche aggravare l’evitamento da parte dei pazienti di eventuali effetti ed esperienze scomode.

Il setting da remoto richiede, quindi, accortezze e accorgimenti in più rispetto al classico presenziale, proprio per potersi garantire la possibilità di una relazione che permanga terapeutica e sia funzionale al raggiungimento degli obbiettivi preposti.

Conclusioni

La sequenza “costruzione dell’alleanza – flessione/rottura dell’alleanza – riparazione dell’alleanza” è positivamente correlata al buon esito della terapia.

In questo senso, gli interventi di riparazione dell’alleanza sono tra le azioni psicoterapeutiche più efficaci.

L’abilità del terapeuta, oltre a cogliere i segnali, consiste nel trasformare la frattura terapeutica in un’opportunità psicoterapeutica, individuando il proprio contributo nel mantenimento del ciclo interpersonale disfunzionale e utilizzando gli strumenti per salvaguardare il lavoro e l’alleanza terapeutica.

Bibliografia:

  • Bandura, A. (1969) Principles of behavior modification. New York: Holt, Rinehart & Winston.
  • Beck A.T., Rush A.J., Shaw B.F. & Emery, G. (1979) Cognitive Therapy of Depression. New York: Guilford Press
  • Bordin, E. S. (1979). The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, Research & Practice, 16(3), 252-260.
  • Dimaggio, G., Semerari, A. (2007). I disturbi di Personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali. Laterza, Bari.
  • Horvath, A. O., & Symonds, B. D. (1991). Relation between working alliance and outcome in psychotherapy: A meta-analysis. Journal of Counseling Psychology, 38(2), 139–149.
  • Lingiardi, Vittorio & Colli, Antonello (2003). Alleanza terapeutica: Rotture e Riparazioni. Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze Umane. 
  • Liotti G, Farina B, Rainone A (2005). Due terapeuti per un paziente. Laterza editore, Bari.
  • Liotti G, Monticelli F (2008) (a cura di). I sistemi motivazionali nel dialogo clinico: Il manuale AIMIT. Raffaello Cortina, Milano.
  • Liotti G, Monticelli F (a cura di) (2014). Teoria e clinica dell’alleanza terapeutica. Cortina Editore, Milano
  • Martin, D. J., Garske, J. P., & Davis, M. K. (2000). Relation of the therapeutic alliance with outcome and other variables: A meta-analytic review. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 68(3), 438–450.
  • Muran J. C., Eubanks C. F. (2022). Il terapeuta sotto pressione. Riparare le rotture dell’alleanza terapeutica. Raffaello Cortina.
  • Safran, J. D. & Muran, J. C. (2019). Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica. Editori Laterza.
  • Safran, J. D., Muran, J. C., Samstag, L. W., & Stevens, C. (2002). Repairing alliance ruptures. In J. C. Norcross (Ed.), Psychotherapy relationships that work. New York: Oxford University
  • Safran JD, Segal Z (1990). Interpersonal process in cognitive therapy. Basic Books, New York.
  • Semerari, A. (2022). La relazione terapeutica: Storia, teoria e problemi. Gius. Laterza & Figli Spa.
  • Weiss J., Come funziona la psicoterapia (1996). Torino, Bollati Boringhieri.

Articolo Scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi Psicologa e Psicoterapeuta presso il centro di Legnano

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