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Dr.ssa Gaia Guggeri, Medico psichiatra

L’attuale epidemia di Coronavirus che in queste ore sta mettendo in allarme il mondo intero, comincia a influire negativamente anche sulla nostra psiche.

La presenza di una epidemia, infatti, elicita in ognuno di noi paure ancestrali legate alla morte, alla ineluttabilità di questa e alla consapevolezza della impotenza dell’uomo davanti alle catastrofi naturali.

L’incertezza, oltre a implementare questi vissuti, aumenta lo stato d’ansia per qualcosa che non riusciamo a “incanalare” nei nostri schemi mentali e che, quindi, non possiamo “dominare” e controllare.

Oltre alla malattia in sé, gli esperti mettono in guardia dai potenziali effetti deleteri psicologici della quarantena di massa di milioni di persone in Cina e, purtroppo, ora anche in Italia. Questo evento è destinato ad esacerbare i livelli di ansia delle persone (James Rubin and Simon Wessely l King’s College London).

Se, infatti, è normale che durante i focolai epidemici i livelli di ansia generali siano elevati, appare evidente che la quarantena di massa vi contribuisce ancor di più poiché viene vissuta sia come un segnalatore di gravità della malattia, sia perché aumenta le paure di contagio in una situazione in cui la sensazione di non avere alcuna “via di uscita” (in senso proprio “fisico”) si palesa concretamente. Il vissuto claustrofobico di non potersi sottrarre ad un destino ineluttabile in cui si manifesta chiaramente la nostra impotenza davanti agli eventi, può creare anche una sorta di rassegnazione che si trasforma in depressione e anergia o, in casi non rari, anche in aggressività verso chi si ritiene responsabile della situazione.

Alcuni esperti si chiedono quanta di questa preoccupazione sia giustificata. Anche l’influenza stagionale è letale, ma non spaventa: ciò avviene fondamentalmente per due motivi. Il primo è che, nel parlare comune, viene chiamata influenza ogni tipo di virosi stagionale, anche il semplice raffreddore con qualche linea di febbre; questo diminuisce la percezione della pericolosità e quindi la paura. Il secondo motivo è che l’influenza stagionale è prevedibile e sono disponibili previsioni di come si comporterà ogni anno, mentre con un nuovo virus tutto ciò è incerto, e questo genera ansia.

Tuttavia, se un certo livello di ansia fisiologica può essere funzionale ad una maggiore consapevolezza e motivazione a porre in essere piccoli cambiamenti necessari per contenere l’infezione, elevati livelli di ansia possono portare, invece, a mettere in atto comportamenti irrazionali e ad interferire pesantemente con la vita quotidiana (pensiamo alle immagini dei supermercati presi d’assalto e svuotati).

Per coloro che sono interessati ai blocchi, oltre ai livelli d’ansia si possono sviluppare forme di depressione reattiva, causate dallo stato di isolamento, dalla preoccupazione per i propri cari, dalla incapacità di elaborare efficacemente l’immagine di sé che, collettivamente, viene identificata con quella dell’untore di manzoniana memoria. E’, infatti, la stigmatizzazione una delle cause principale delle reazioni depressive, perché porta con sé discriminazione e attacchi personali. I media talvolta svolgono un ruolo in questo senso, verso quei soggetti che sono maggiormente tendenti all’ansia rispetto ad altri. In questo contesto, la comunicazione di fatti accurati e chiari ai pazienti è una precisa responsabilità di ogni medico.

L’intervento

Un recente articolo pubblicato su The Lancet – Psichiatry fa il punto sulle conseguenze psicologiche dell’epidemia, e la mette a confronto con l’epidemia di SARS del 2003.  Proprio su questa esperienza, il supporto dovrebbe essere indirizzato soprattutto sui pazienti, sui loro familiari, su chi è entrato in contatto con un soggetto ammalato, ma anche sul personale sanitario.

Per i pazienti, siano essi con infezione certa o sospetta, il maggiore rischio appare quello di sviluppare una senso di paura incontrollata, che si protrae nel tempo e in uno stato di totale solitudine e, quindi, di deprivazione sensoriale e affettiva. I sintomi stessi della malattia, primo fra tutti la dispnea, implementano i livelli di ansia e di stress. La consapevolezza, poi, di aver potenzialmente provocato il contagio dei propri cari o dei propri amici scatena nel soggetto un forte senso di colpa, che aumenta il rischio di sviluppare una sintomatologia depressiva. Nel corso della pregressa epidemia di SARS, è stato riportato un picco d’incidenza di molti disturbi psichiatrici, come depressione, ansia, attacchi di panico, agitazione psicomotoria e persino suicidi.

Per quanto riguarda il personale sanitario, il contatto prolungato con la sofferenza e la morte, la paura del contagio e l’angoscia di poter infettare i propri cari, possono portare a sviluppare sintomi d’ansia, depressivi, sino allo sviluppo di un disturbo post traumatico da stress.

L’articolo propone quattro tipi di intervento per sostenere ed aiutare dal punto di vista psicologico le persone coinvolte direttamente nell’epidemia, messi a punto sulla precedenza esperienza con la SARS:

Il primo riguarda la formazione di “team multidisciplinari” composti da psichiatri, psicologi e infermieri che garantiscano una presa in carico sia dei malati che del personale sanitario, proponendo uno spazio di aiuto e di supporto che colmi la sensazione di solitudine che l’isolamento comporta.

Il secondo riguarda la comunicazione sull’epidemia, che preveda una informazione chiara, esplicita e univoca; questo permette di ridurre (ma non di eliminare del tutto) i sentimenti di incertezza che, come abbiamo visto, aumentano i disturbi d’ansia.

Il terzo è quello di poter fornire ai pazienti in isolamento dispositivi elettronici per poter mantenere una comunicazione anche visiva con i propri familiari e, nel caso fosse necessario, per avviare un supporto psicologico più strutturato on line.

Infine, pazienti e sanitari dovrebbero essere periodicamente valutati per cogliere segni o sintomi precoci di insorgenza di ansia, depressione o ideazione suicidaria al fine di ricevere un aiuto mirato e tempestivo farmacologico e psicoterapico.

Bisogna, infine, tenere in considerazione che un supporto farmacologico e/o psicoterapeutico dovrebbe continuare anche dopo l’emergenza sanitaria così come la vigilanza sull’insorgenza di patologie psichiatriche, che possono svilupparsi anche molto dopo la risoluzione dell’epidemia.

Fonti:

(VBMJ online 2020, pubblicato il 24/1 https://blogs.bmj.com/bmj/2020/01/24/coronavirus-the-psychological-effects-of-quarantining-a-city/

https://www.thelancet.com/journals/lanpsy/article/PIIS2215-0366(20)30046-8/fulltext

 

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