Si può facilmente osservare come le relazioni rappresentino i fondamenti delle comunicazioni interpersonali fin dai primi anni di vita ed esse, determinino il tono e le caratteristiche di tali comunicazioni nel corso di tutta l’esistenza.

E’ altresì corretto affermare che l’uomo privato  di una comunicazione efficace non sia in grado di mantenere una benché minima stabilità emotiva, in quanto, per riconoscere se stesso egli deve “comunicarsi” agli altri, ossia relazionarsi, e ciò non può avvenire tramite il solo confronto con se stesso: «l’Altro che mi viene da fuori è un Altro che abita dentro di me, che ancora non ho conosciuto, e fin quando non lo conosco dentro, allora conoscerlo fuori mi sarà sempre un pò difficile, seppure non del tutto impossibile. Non posso occuparmi dell’Altro da me fintanto che non mi sono occupato dell’Altro in me» [https://www.jungitalia.it].

Lo psicologo statunitense Abraham Maslow tra il 1943 e il 1954 concepì e divulgò il concetto di “gerarchia dei bisogni” nel libro “Motivazione e Personalità”. Tale gerarchia è suddivisa in cinque differenti livelli, che vanno dai più elementari, in quanto necessari alla sopravvivenza dell’individuo, ai più complessi, di carattere sociale. 

L’individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo ordinatamente progressivo. I bisogni di base, per ordine di rilevanza, sono: 

  • 1. Bisogni fisiologici (fame, sete, sonno, respiro, omeostasi). 
  • 2. Bisogni di sicurezza (salvezza, salute, sicurezza e protezione). 
  • 3. Bisogni di relazione (appartenenza, affetto, sessualità, amicizia, identificazione). 
  • 4. Bisogni di stima (prestigio, successo riconosciuto dagli altri, rispetto, stima).  

Per il Dizionario di Psicologia: “… le relazioni interpersonali sono i rapporti che si istituiscono tra due o più persone e che ne influiscono reciprocamente, in vario modo e grado il comportamento” (Volta,1974).

La relazione rappresenta, in sostanza, il metodo tramite il quale avvengono e si sviluppano i rapporti e contatti tra gli individui e ne modifica il carattere, la personalità, l’affettività e talvolta anche il modo di ragionare e pensare. Essa fa sì che le persone influiscano reciprocamente sui comportamenti altrui, seppur in un modo che dipende dalla soggettività psicologica e comportamentale di ogni individuo coinvolto e dal contesto in cui la relazione si sviluppa.

La relazione violenta e la trasmissione transgenerazionale

I bambini hanno bisogno di una buona relazione di attaccamento per sentirsi sicuri e diventare adulti sereni.

L’esperienza traumatica mette in moto le dinamiche soggettive del sistema di ricerca di aiuto, di conforto e di protezione: vale a dire il sistema di attaccamento e il modello operativo interno (MOI) che lo regola [V. Caretti; G. Creparo, 2008].

Le esperienze traumatiche riguardano un complesso di vissuti emotivi dolorosi e pertanto non mentalizzabili che possono avere esiti psicopatologici sullo sviluppo della persona.

I sostenitori della teoria dell’attaccamento ritengono che molte forme di disturbi psichici possano essere attribuite sia a deviazioni nello sviluppo del comportamento di attaccamento, sia, più raramente, a un mancato raggiungimento di tale sviluppo. Per aiutare terapeuticamente tali pazienti dobbiamo metterli nella condizione di capire con precisione come i loro modi attuali di percepire e trattare persone emotivamente significative, possano essere stati influenzati e, forse gravemente distorti, da esperienze vissute con i genitori durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, alcune delle quali possono continuare anche nel momento attuale [Bowlby J. (1979) The making and breaking of affectional bonds].

Le rappresentazioni mentali che il bambino ha delle interazioni con i genitori, funzionano come veri e propri modelli operativi, che sono alla base per le più generali rappresentazioni delle relazioni con altre persone che i bambini stabiliscono nel momento in cui entrano a fare parte del più ampio mondo sociale. I modelli mentali dei bambini riflettono il modo in cui sono stati trattati dai genitori e a loro volta plasmano le rappresentazioni non solo dei genitori, ma anche degli altri. Questa conoscenza ovviamente la dice lunga sul perché la natura delle primissime relazioni sperimentate dal bambino sia dunque di estrema rilevanza per comprendere ed anticipare le modalità con cui quel bambino, una volta diventato adulto, si relazionerà con il resto della società. Saranno infatti queste rappresentazioni interne, a indirizzare l’individuo nella interpretazione delle informazioni che provengono dal mondo esterno e a guidare il suo comportamento nelle situazioni nuove. 

Se il bambino ha avuto delle esperienze precoci con una figura allevante pronta ad offrire aiuto e conforto, costruirà un modello del sé come di una persona degna di amore e conforto. Al contrario, là dove la figura di attaccamento non sia stata sufficientemente responsiva ma rifiutante, il bambino formerà un modello mentale del Sé come di individuo non degno di essere amato e confortato [Di Blasio, 2000: Psicologia del bambino maltrattato. Il Mulino Editore]. 

Queste aspettative verranno poi estese a tutte le figure affettive che si incontreranno nel corso della vita.

Tutta via è importante accogliere ma non fermarsi a tali concetti. L’effetto di un “incontrollabile” esito nefasto determinato dalla famiglia, dalla cultura… rischia di essere deresponsabilizzante, diventando un ostacolo al cambiamento: se è tutta colpa della società, della cultura, della famiglia… non solo non è colpa dell’autore della violenza, ma ben poco si può fare per cambiare le cose. Evidentemente occorrono anche altre spiegazioni [Marzagora Betsos I. (2009): Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento. Raffaello Cortina Editore].

La relazione terapeutica

Nel lavoro psicoterapeutico è d’importanza fondamentale riuscire ad entrare in relazione con l’altro e bisogna farlo in maniera empatica, autentica ed efficace, poiché è la relazione stessa a costituirsi come vero e proprio strumento di lavoro. Questa interazione prende il nome di relazione d’aiuto ed è intesa come un rapporto terapeutico in cui il clinico ha lo scopo di sostituire la costruzione di una realtà disfunzionale con un’altra che si adatti meglio alle circostanze della vita della persona.

Generalmente, nella relazione terapeutica, il paziente si pone come individuo che chiede aiuto per evolvere da una situazione nella quale si sente a disagio. Si fida e si affida al terapeuta ed offre un Io che necessita di essere sostenuto e rafforzato nella misura in cui il trattamento della sua personalità e le sue potenzialità lo consentono. 

Il rapport, definisce quella disponibilità ad accogliere la persona, è quell’elemento complesso che riguarda una serie di relazioni interpersonali particolarmente significative in termini di comprensione, empatia, accoglimento, fiducia, onestà e sincerità. Tali componenti affettive sono di estrema importanza per determinare quello stato di parità dei piani comunicazionali tra paziente e terapeuta. Ne deriva che nella costruzione della reciprocità della relazione comunicazionale è compito del terapeuta facilitare la comprensione mediante comportamenti flessibili e appropriati, condurre la coppia terapeutica che mano a mano si consolida ad andare oltre il significato letterale delle parole per cogliere l’intento comunicativo dell’altro. [Giacosa S. (2016) A.M.I.S.I. – S.E.P.I. . S.I.I.C. La storia, i principi scientifici statuari e deontologici. Ed. Amisi].

Se senti di vivere con difficoltà le tue relazioni, se fatichi a gestire dei rapporti che credi possano nuocerti, causarti sofferenza, oppure provocare questi stessi vissuti negli altri, chiedi aiuto ad un professionista, ti saprà accogliere e supportare. Le relazioni sono contatti fondamentali nella nostra vita ed ogni persona ha il diritto di viverle nel modo più sano e soddisfacente possibile.

Articolo a cura della dott.ssa Laura Lamponi psicologa e psicoterapeuta

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