Introduzione 

Abbiamo visto nel precedente articolo, come un’adeguata regolazione emotiva sia protettiva rispetto all’insorgenza di possibili disturbi psicologici, contribuendo positivamente al benessere psico-fisico. Ma dove si imparano e si sviluppano le capacità di regolare le emozioni?

Lo sviluppo delle capacità di regolazione emotiva è legato al tipo di interazione che, nei primi anni di vita, il bambino ha con chi si prende cura di lui, i suoi caregivers, figure di attaccamento; dai continui scambi affettivi, il bambino impara a riconoscere le emozioni e successivamente a regolarle. A partire dall’interazione diadica, impara quando le emozioni devono essere inibite, quando è bene esprimerle o quando è opportuno mascherarle. 

Lo sviluppo di un’adeguata regolazione emotiva è, pertanto, strettamente connesso al legame di attaccamento. 

Il ruolo dell’attaccamento nella prima infanzia 

J.Bowlby, padre e fondatore della teoria dell’attaccamento, ha definito questo costrutto, come una predisposizione innata a cercare vicinanza e protezione di un membro della propria specie (concetto estendibile alla classe dei mammiferi) quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali. 

Il legame di attaccamento è di natura interazionale ed è finalizzato al mantenimento della vicinanza fisica ed emotiva tra il bambino e chi si prende cura di lui. 

Il sistema di attaccamento trova in quello di accudimento genitoriale un sistema complementare diretto ad accogliere le richieste di vicinanza protettiva del bambino.

La modalità e la qualità di risposta che il bambino riceverà dalle sue figure di attaccamento ai suoi segnali emotivi, andrà a determinare la costituzione dei Modelli Operativi Interni, ovvero schemi di relazione sé-altro interiorizzati dal bambino sulla base delle esperienze vissute con i propri caregivers; si delineano come strutture affettivo-cognitive, che organizzano sia le informazioni che gli affetti relativi alle diverse relazioni di attaccamento, che andranno a guidare future interazioni.

I MOI sono costituiti da: 

  • Memorie episodiche delle sequenze di interazione
  • Memorie dichiarative: modalità di risposta della figura di attaccamento 
  • Memorie procedurali: come il bambino risponde alle situazioni e affronta il disagio.

Questi modelli di sé e degli altri sono carichi di emozioni; in particolare riflettono come l’emozione viene regolata all’interno di specifiche relazioni; il bambino, quindi, internalizza regole di funzionamento interattivo e impara ad apprendere strategie di regolazione emotiva, sulla base delle modalità e qualità delle risposte e comportamenti del genitore. 

Queste esperienze di regolazione emotiva nella relazione diadica, con il passare del tempo, diventano processi automatici che il bambino utilizza per autoregolarsi nella vita quotidiana.  

Teorici dell’attaccamento hanno messo in luce come una responsività sensibile (Ainsworth,1978), intesa come la capacità del caregiver di essere ricettivo e sensibile rispetto ai segnali espressi dal bambino, ma anche la sintonizzazione o il rispecchiamento, aiutano e permettono al bambino di riconoscere gli stati emotivi propri e altrui. 

L’enfasi è posta, non solo su aspetti comportamentali, tra i quali la capacità di contatto fisico, di nutrimento, ma soprattutto sugli aspetti relazionali e comunicativi, accogliendo e comprendendo le comunicazioni emotive del bambino, favorendo, così, un’espressione, da parte del bambino, di bisogni ed emozioni. 

Dalle combinazioni tra modalità di accudimento e reazioni emotive e comportamentali del bambino, nel corso delle esperienze quotidiane, si costruisce un legame di attaccamento (sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente M.Ainsworth, 1978; disorganizzato Main & Solomon, 1990), che influenzerà le capacità di regolazione emotiva, il successivo adattamento sociale, relazionale e le capacità metacognitive. 

In un contesto di attaccamento sicuro, il caregiver è in grado di sintonizzarsi affettivamente con il proprio bambino, attraverso scambi interattivi coordinati. Il genitore permette al bambino di sperimentare interazioni caratterizzate da momenti di sintonizzazione, desintonizzazione e risintonizzazione, cogliendo il livello di attivazione del bambino e regolando stati emotivi positivi e negativi. Ne consegue la costruzione di Modelli Operativi Interni, all’interno dei quali un altro significativo mostra atteggiamenti di risposta positiva alle emozioni, validandole. 

L’attaccamento insicuro-evitante influisce sull’espressione e sul riconoscimento della propria emotività negativa. In tale contesto, il bambino ha fatto esperienza di un caregiver poco sensibile e responsivo, non disponibile emotivamente, pertanto, tenderà a minimizzare l’impatto delle emozioni spiacevoli, inibendole e non cercando il supporto del caregiver. Hanno sperimentato rifiuto, lontananza a fronte di momenti di conforto e vicinanza, in cui era attivato il sistema di attaccamento. 

Il bambino, quindi mostrerà una tendenza all’autosufficienza, a fronte di un genitore che non si sintonizza con i suoi stati emotivi, non potendo, così, esprimere l’emotività negativa all’interno del legame di attaccamento. 

In un contesto di attaccamento insicuro-ambivalente, il caregiver è irregolarmente responsivo, imprevedibile: mostra attenzioni in modo incostante (a volte sì, altre volte no). Il bambino, quindi, sviluppa una strategia in cui intensifica le emozioni negative per attirare e aumentare le attenzioni del genitore. C’è un’accentuazione degli stati emotivi; la regolazione emotiva si appoggia sulla co-regolazione diadica, che però, risulta poco funzionale nell’attenuare l’intensità emotiva. 

Nell’attaccamento disorganizzato, le emozioni sono oggetto di processi di invalidazione gravi, molteplici, drammatici da parte di genitori spaventati, spaventanti o vulnerabili. Le emozioni sono interiorizzate secondo schemi di credenze molteplici, contradditorie, incompatibili. 

A tal proposito diversi studi hanno indagato l’influenza della qualità dell’attaccamento sullo sviluppo delle strategie di regolazione emotiva. 

Bambini con attaccamento insicuro hanno maggiori difficoltà nel riconoscere e regolare le proprie emozioni; bambini con attaccamento sicuro si mostrano maggiormente in grado di accogliere emozioni dolorose connesse alla sconfitta, non si mostrano turbati a fronte di emozioni di dolore dei coetanei, riuscendo ad offrire supporto e aiuto; i bambini insicuri tendono a mostrare paura o aggressività verso chi mostra sofferenza e faticano a tollerare e gestire stati emotivi in contesti competitivi (gli ambivalenti sono timidi ed evitano tali situazioni). 

Attaccamento adulto e regolazione emotiva 

La teoria dell’attaccamento pone in evidenza l’importanza che gli affetti rivestono nelle relazioni; permette di comprendere come si sviluppano gli attaccamenti sicuri, in che modo aiutano la persona ad affrontare il dolore, il disagio, a sopravvivere all’angoscia e a ritrovare speranza, equilibrio e ottimismo. Dall’altra parte spiega come si sviluppano gli attaccamenti insicuri e quali strategie di regolazione emotiva la persona adotta per affrontare le emozioni nelle varie situazioni di vita. 

Mikulincer & Shaver (2003) hanno proposto un modello relativo al funzionamento del sistema di attaccamento in età adulta e le strategie che si attivano.  

Prende in considerazione 3 componenti:

  • La prima componente riguarda il monitoraggio e la valutazione di eventi minacciosi che determinano un’attivazione del sistema di attaccamento
  • La seconda componente riguarda il monitoraggio e la valutazione della disponibilità e responsività delle figure di attaccamento
  • La terza componente riguarda il monitoraggio e la valutazione dei comportamenti di ricerca e vicinanza.

In età adulta, di fronte ad una minaccia reale o percepita, viene attivato il sistema di attaccamento; questa attivazione si manifesta richiamando alla memoria sia le rappresentazioni interiorizzate riguardo le interazioni con i propri caregivers, sia attraverso la ricerca e supporto concreto all’interno di una relazione. 

Una volta attivato il sistema di attaccamento, la disponibilità interiorizzata della figura di attaccamento determina una sensazione di sicurezza percepita che rinforza le capacità di coping dell’individuo, permettendo una regolazione efficace delle emozioni e favorendo un miglior adattamento personale e sociale e si ritrova nei soggetti con attaccamento sicuro.

Invece la percezione della figura di riferimento come non disponibile, si accompagna ad una sensazione di insicurezza che determina un aumento dello stato di angoscia e porta l’individuo ad adottare “strategie secondarie dell’attaccamento”: strategie iperattivanti, nel caso in cui la ricerca di vicinanza è percepita come opzione possibile; al contrario l’impossibilità della ricerca di vicinanza determina l’adozione di strategie di disattivazione. 

Strategie di iperattivazione

Questa strategia si sviluppa in persone che hanno fatto esperienza di una figura di attaccamento disponibile e responsiva in modo incostante e imprevedibile, in cui l’individuo impara, per adattarsi alla situazione, ad amplificare gli affetti. La vicinanza è possibile a condizione che si amplifichino gli sforzi. Questo tipo di strategie caratterizza uno stile di attaccamento adulto “ansioso” /preoccupato. 

La strategia comporta un’esagerazione della presenza e della gravità del pericolo e l’attuazione di un costante stato di vigilanza, che porta la persona ad essere particolarmente sensibile a segnali di disapprovazione, riduzione di interesse o di imminente abbandono. 

A livello relazionale, questi individui manifestano:

  • un costante bisogno di contatto e vicinanza da parte dell’altro 
  • mettono in atto comportamenti di vicinanza controllante per ottenere affetto e sostegno
  • forte desiderio di immedesimarsi e confondersi con l’altro significativo 
  • inducono a valutazioni catastrofiche nei conflitti interpersonali e conseguente acutizzazione dei conflitti; 

tali comportamenti evidenziano un’elevata vulnerabilità nella valutazione dell’effettiva disponibilità dell’altro significativo. 

Le strategie iperattive sono sostenute da convinzioni dichiarative negative, riguardanti la gestione dello stress e la qualità dell’auto-efficacia.

Queste persone tendono a ricorrere a strategie di regolazione emotiva poco adattive quali: intensificazione delle emozioni spiacevoli, ruminazione, autocritica e manifestazioni eccessive di disagio.  

Le persone che usano le strategie di iperattivazione possono non essere in grado di usare le risorse a loro disposizione ed essere inclini a dedicarsi agli altri a discapito di se stessi.

Strategie di deattivazione

Le strategie disattivanti derivano da esperienze con una figura di attaccamento distante emotivamente, rifiutante ed ostile. Questo comportamento porta l’individuo a disattivare il sistema di attaccamento e ad inibire l’emotività ad esso connessa. La strategia disattivante si ritrova nei soggetti con uno stile di attaccamento “distanziante”. 

Tali strategie si instaurano come modalità regolativa, a fronte di una continua non reperibilità delle figure di attaccamento che non danno importanza o inibiscono i bisogni di attaccamento.

A livello interpersonale queste persone:

  • tendono a fare affidamento su se stessi
  • evitano o negano stati emotivi che richiedono aiuto e supporto
  • tendono a minimizzare le espressioni affettive nelle comunicazioni emotive intime 
  • tendono a sopprimere pensieri ed emozioni riguardanti rifiuti, separazioni, abbandoni e perdite
  • in generale minimizzano l’espressione delle emozioni soprattutto quelle spiacevoli.

Queste persone tendono a ricorrere a strategie risolutive di distanziamento: sopprimono i pensieri e le emozioni e reprimono le memorie dolorose. Tali processi di inibizione escludono dalla consapevolezza le situazioni che implicano minaccia e bisogno di attivare il sistema di attaccamento. 

Strategie di attaccamento fondate sulla sicurezza

Le persone sicure, che hanno fatto esperienze di caregivers sensibili, accoglienti e disponibili emotivamente, instaurano una sensazione di sicurezza ed efficacia nella ricerca di supporto e vicinanza, sviluppando strategie basate sulla sicurezza. 

Queste persone si mostrano maggiormente in grado di affrontare lo stress, considerano gli eventi come meno minacciosi rispetto alle persone insicure e hanno aspettative ottimistiche rispetto alla loro capacità di affrontare situazioni problematiche. 

Sono in grado di esprimere in maniera aperta e flessibile le loro emozioni; hanno credenze positive sulle intenzioni degli altri e questo aspetto si correla positivamente con una regolazione delle emozioni. Infatti, la credenza che gli altri rispondono alle richieste di aiuto, aiuta la persona nella gestione delle emozioni spiacevoli. 

Dalle precedenti esperienze hanno, infatti, appreso che l’espressione del disagio porta a risposte positive da parte degli altri; inoltre, hanno imparato che le loro azioni possono ridurre la sofferenza e che il ricorso ad altri è una modalità di risoluzione del disagio percepito. Rispetto alle persone insicure, le persone sicure sono in grado di mettere in atto strategie di coping costruttive rispetto alla gestione della sofferenza emotiva, senza farsi sopraffare da essa. 

Tutto ciò porta ad avere un atteggiamento ottimista verso le difficoltà e ad adottare strategie funzionali per affrontare le situazioni, ristabilendo un equilibrio emozionale.  

Se le strategie di regolazione emotiva adottate dai soggetti sicuri si rilevano adattive, le strategie iperattivanti e disattivanti si rilevano possibili fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici. 

La disattivazione è risultata correlata con disturbi somatici, del sonno, problemi di salute. Mentre la strategia iperattivante che porta ad un’intensificazione dell’angoscia e ad una struttura emotiva che ostacola la capacità di gestire le emozioni, è risultata predittiva di disturbi depressivi, alimentari, disturbi d’ansia e disturbi di personalità (Mikulincer & Shaver, 2007). 

Possibilità di cambiamento 

Pur evidenziando una certa continuità dei Modelli Operativi Interni, ovvero le esperienze con le figure di attaccamento si evolvono in filtri interpretativi attraverso i quali si ricostruiscono nuove relazioni ed esperienze coerentemente con esperienze passate e aspettative che sorgono dalle relazioni di attaccamento sicuro ed insicuro, Bowlby, espone il concetto secondo cui queste rappresentazioni possono subire anche delle modificazioni nel corso dello sviluppo in risposta a nuove esperienze.  

Il termine “operativo” fa riferimento al fatto che questi schemi non sono prodotti “statici” ma processi “dinamici” all’interno dei quali si possono verificare degli aggiornamenti sulla base di eventi esterni. 

Pertanto, se le prime esperienze di attaccamento giocano un ruolo fondamentale, è anche vero che successive esperienze positive e supportive vissute in adolescenza o in età adulta, possono modificare e ampliare le rappresentazioni interne in modo continuo e transazionale.

Con un percorso di psicoterapia si apre la possibilità di offrire esperienze emozionali e relazionali correttive a partire dalla relazione paziente e terapeuta. Il terapeuta rispondendo sistematicamente ai segnali dell’altro in modo diverso rispetto alle precedenti figure di attaccamento, permetterà la costruzione di un nuovo Modello Operativo Interno, che potrà condurre al cambiamento delle sue rappresentazioni mentali circa l’attaccamento.

Questa possibilità di cambiamento terapeutico è stata documentata da diversi studi clinici. 

In questo senso la psicoterapia: 

  • persegue lo scopo di riconoscere il valore e il senso delle esperienze emozionali del paziente e, pertanto, i pazienti sono continuamente esposti, nella relazione terapeutica, a condizioni interpersonali dell’attaccamento sicuro;
  • l’esperienza di sicurezza nell’attaccamento che si ripete nella relazione terapeutica, contrasta con i Modelli Operativi Interni del paziente; ciò permette di mettere in moto processi cognitivi che caratterizzano l’esposizione alla novità informativa.

Attraverso il raggiungimento di condizioni di sicurezza nella relazione terapeutica, si ricostruiscono gli schemi cognitivi ed interpersonali dei pazienti, tramite una rielaborazione degli stessi e la sperimentazione di altre modalità comportamentali che permettono di procedere al cambiamento. 

Bibliografia 

A cura di Bara, B.G. Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva, Teoria (Vol 1). Bollati Boringhieri, 2005. 

Ainsworth, M. D. S., Blehar, M.C., Waters, E. & Wall, S. (1978). Patterns of Attachment: A psychological Study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ: Erlbaum. 

Mikulincer, M., Shaver, P.R., & Pereg, D. (2003). Attachment Theory and Affect Regulation: The Dynamics, Development, and Cognitive Consequences of Attachment-Related Strategies. Motivation and Emotion, 27, 77-102. 

Mikulincer, M., & Shaver, P.R. (2007). Attachment in adulthood: Structure, dynamics, and change. New York. Guilford Press. 

Scilligo, P., Schietroma, S. Il sistema di attaccamento negli adulti: orientamenti attuali, metodi di osservazione e prospettive future. Psicologia Psicoterapia e Salute, 2005, Vol. 11, No. 3, 299-339.

Ardito, R.B., Adenzato, M. (2012). Aspetti psico-neurobiologici dell’attaccamento. Rivista per le Medical Humanities, 22, 24-28.

Articolo a cura della dott.ssa Ilaria Campostori psicologa e psicoterapeuta presso la sede di Legnano

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