“Padri presenti, padri assenti, padri ambivalenti, padri in fuga, padri sospesi. Quale che sia il padre che ci ha messi al mondo, tutti i figli devono comunque imparare a farci i conti”.

Quando un figlio nasce tutti, ma proprio tutti, rivolgono lo sguardo all’ultimo/a arrivato/a, poi alla madre. Infine, qualcuno si ricorda di guardare il padre, quasi sempre per chiedergli se e come ha assistito al parto.

Nessuno chiede lui “come stai?”, eppure, diventare padri significa accogliere dentro di sé infinite trasformazioni, ma anche andare a rivisitare le vicissitudini emotive legate alla propria figura paterna e al proprio essere prima di tutto figlio. Non c’è niente come la nascita di un figlio che rivoluziona in modo profondo e complesso le vite dei due genitori e le fitte dinamiche di coppia.

  • Cosa succede nella mente di un uomo quando diventa padre?
  • Quale processo si mette in moto?
  • Come il codice e la cultura maschile comunica l’esperienza della paternità?

Questo articolo intende rispondere a queste domande, ma soprattutto sceglie di portare attenzione e riflessione alla figura del padre, che viene troppo spesso dimenticata anche da noi professionisti.

UN PADRE NUOVO

Che la donna e l’uomo possano decidere responsabilmente quando e se “programmare” la propria genitorialità è un concetto molto recente. Fino a metà del secolo scorso l’uomo e la donna si univano stabilmente al fine di “mettere su famiglia”, in un copione pressoché uguale per tutti.

Solo dopo gli anni Sessanta le donne hanno potuto immaginare per sé una vita che va al di là del proprio ruolo di moglie e madre, così anche il padre ha ridefinito (non senza fatica) interessi e opportunità all’interno della famiglia. Da qui in poi il suo compito non è stato solo quello di provvedere al sostentamento economico del nucleo, ma acquisire un nuovo ruolo nella vita dei figli. Non più un padre autoritario che basava la sua presenza su punizioni e rimproveri, ma una figura paterna amorevole, attenta e immersa in un’autentica esperienza emotiva.

UNA SCELTA CONSAPEVOLE

La vera rivoluzione l’uomo, quindi, la gioca proprio di fronte alla scelta consapevole di diventare padre.

Mettere al mondo un figlio, per i genitori, è un vero e proprio salto nel vuoto. È lasciare il territorio del certo per l’incerto, una scelta spesso esclusivamente cognitiva basata su ragionamenti, obiettivi raggiunti, variabili verificate e validate. Diventare genitore non è certo qualcosa che si improvvisa, né una tappa da raggiungere con superficialità o innocenza, ma è senz’altro una fase che necessita una componente fortemente irrazionale ed emotiva. Gli uomini si sentono tendenzialmente inadeguati ad entrare in contatto e affermare le proprie emozioni, e questo probabilmente perché educati da generazioni a non accedere al proprio bagaglio emotivo.

Così come poco sono educati all’accudimento della prole. Ecco perché scegliere di diventare padre significa affrontare un territorio emotivo per molti sconosciuto, che può anche spaventare perché richiede di entrare in contatto con la propria incertezza e vulnerabilità.

Tant’è che quando gli uomini parlano tra di loro della paternità sono soliti ad affermare le innegabili fatiche, i disagi, le rinunce senza però avere una vera condivisione emotiva dei vantaggi e delle meraviglie che porta la paternità nella vita di un uomo

. La verità è che prevedere l’avvento della genitorialità e le trasformazioni che ne consegue può spaventare, bloccare, farli sentire inadeguati e questo perché non sempre dotati di quelle competenze emotive o perché maneggiate con incertezza e titubanza, che sono di importanza fondamentale per entrare nel territorio della paternità e viverlo con gioia e soddisfazione.

L’ANALFABETISMO DELLE EMOZIONI

Perché un bambino si senta amato, desiderato e protetto è bene che gli adulti che ha intorno si sintonizzino emotivamente con lui. Perché permette a sua volta di sviluppare e acquisire competenze emotive che gli consentiranno di muoversi con sicurezza e quindi capacità esplorativa nella vita.

Per John Bowlby questo è un elemento imprescindibile. Succede quindi che mentre le donne sono culturalmente e naturalmente predisposte a rispecchiarsi e a rispecchiare le emozioni del proprio bambino o della propria bambina, l’uomo si trova maggiormente in difficoltà.

È ancora una volta una questione culturale di forte impronta educativa: capita troppo spesso che ai bambini maschi sia trasmessa l’inibizione ad entrare in contatto con le proprie emozioni così, ad esempio gli si dice: “non piangere, sei un ometto. Gli uomini non piangono”. Così come alle bambine viene chiesto di non utilizzare un certo linguaggio perché sono delle “signorine”.

Anche in adolescenza, “dal codice di genere” viene vietato di provare tristezza e paura e guai a manifestarlo perché ritenuto poco virile. Così ci si abitua ad un silenzio emotivo personale e privato, ma anche pubblico. Gli uomini adulti evitano così di manifestare il loro bisogno di aiuto e sostegno nei momenti di fragilità, è una situazione tipica del mondo maschile.

Se fin da piccoli manca la possibilità di un intimo coinvolgimento va da sé che venga a mancare col tempo un “vocabolario” con cui tradurre le esperienze emotive, anche quella della paternità.

Come può un genitore che non ha mai dato spazio o valore, oppure trovato un nome per le proprie emozioni significare quelle del figlio o della figlia? 

Così il pianto del piccolo diventa capriccio, fastidio non una richiesta di aiuto e accudimento.

Come può un padre accogliere le richieste di affetto del cucciolo se non le mai ricevute dal proprio padre?

UNA RELAZIONE CHE VA COSTRUITA

Scoprire una dimensione relazionale intima e tenera con i propri figli permette all’uomo di scoprire un nuovo modo di essere padre, ma soprattutto gli consente di sperimentare e ampliare le “lettere” del proprio alfabeto emotivo in modo da offrire al bebè accoglienza e disponibilità. Sintonizzarsi con il pianto, la paura o la gioia dei figli significa chiedersi “Cosa c’è dentro quelle lacrime? E quei sorrisi?”.

Ma cosa fa di un uomo, un buon padre? Quali sono le dimensioni della relazione che gettano le basi per un legame che è per la vita? In tal senso ho riportato i tre elementi maggiormente significativi.

  • La responsabilità, ovvero la capacità di farsi carico di tutti i compiti e le cure necessarie per garantire al cucciolo uno stato di adeguato benessere per il figlio o la figlia. I padri devono essere i protagonisti in tutte le attività che riguardano i bambini, dalla routine quotidiana alle riunioni di classe.

Occuparsi del piccolo o della piccola non lo si fa con l’intento di sostituire la madre, ma è uno degli elementi fondamentali per costruire una relazione profonda con il proprio bebè e per svolgere la funzione del caregiver. Un padre può essere contemporaneamente affettuoso e guida instancabile della conoscenza e dell’esplorazione del mondo. A dimostrarlo ci pensano le già note teorie dell’attaccamento di Bowlby e le osservazioni che le neuroscienze fanno a proposito di come si struttura la competenza emotiva nei primi mesi di vita. Appare evidente che la presenza costante e amorevole del padre proteggono e migliorano lo sviluppo psicofisico e nello stesso momento prevengono il rischio di depressione post partum nella neomamma.

  • Il coinvolgimento, dunque la capacità di stabilire un contatto intimo con il bambino o la bambina. Durante i nove mesi di gestazione, in maniera naturale e con un coinvolgimento totale la madre crea uno spazio fisico ed emotivo per il proprio cucciolo, mentre la questione paterna è piuttosto mentale. Il suo coinvolgimento nella vita del figlio o della figlia segue un copione molto differente poiché il cucciolo in qualche modo è già presente ma non lo può percepire. Per questo motivo è con l‘azione che inizia il suo percorso verso la sua identità di padre: legge e si informa, trasforma la casa e prepara il nido, frequenta i corsi preparto, accompagna la gestante alle visite, etc. Questo è solitamente il modo in cui il bambino inizia ad abitare il suo cuore e la sua mente attivando un processo di trasformazione della propria identità. Il suo coinvolgimento nella vita dei figli è fatto di occupazioni e preoccupazioni esattamente come accade alla madre, ma per lui la componente psicologica del “sentirsi padre” richiede la presenza del figlio, la sua consistenza, il suo sguardo e la sua voce; perciò è solo con l’esperienza diretta e costante che si costruisce la relazione con il bambino o la bambina. Tant’è che anche l’uomo, come la donna, va incontro ad un cambiamento ormonale (diminuisce il testosterone mentre aumentano prolattina e ossitocina) subito dopo la nascita del figlio e questo significa che biologicamente è predisposto anch’egli ad accudire il nuovo o a la nuova nata, la natura facilita il compito e prevede il suo coinvolgimento fin dalle prime ore.
  • la disponibilità, ovvero la capacità di dimostrarsi emotivamente disponibile, vicino, sintonizzato. Sono molti i padri smarriti con l’arrivo di un figlio, alcuni perché mai venuti a contatto con un piccolo essere umano, altri perché concluse le cure principali si chiedono “E ora che cosa faccio con lui?”. Stai, semplicemente stai. Che cosa voglio dire? Mettersi a sua completa disposizione sintonizzandosi e accogliendo le sue semplicissime competenze. Costruire una relazione esula talvolta dal “fare” e richiede “l’esserci” semplicemente e costantemente. È l’insieme degli sguardi e delle esperienze condivise in cui i figli si sentono riconosciuti e amati per come sono. È la trasmissione di un codice etico e di valori, non il soddisfacimento delle richieste dei genitori. È l’interesse genuino, lo sforzo della comprensione e la vicinanza al figlio dopo il fallimento. Essere disponibile quindi significa esserci.

PATERNITÀ FA RIMA CON OPPORTUNITÀ

la figura del padre

Non potevo scegliere titolo migliore per descrivere alcuni dei padri che incontro in consulenza, in particolare quegli uomini che solo dopo una separazione dolorosa e conflittuale con l’ex, hanno riscoperto una nuova paternità. Accade sempre troppo spesso che questi padri si rendano conto di non saper gestire i figli, molti di non conoscere i loro gusti, il genere musicale apprezzato, l’abbigliamento adeguato all’attività sportiva, la quantità di cibo da somministrare

Ricordo di un padre che per il primo pranzo insieme aveva preparato talmente poca pasta che la bambina si era poi ingenuamente lamentata con la madre. Questo aveva scatenato una lite tra i due ex coniugi così la signora in sede legale aveva sottolineato le scarse competenze del padre. Quest’uomo ne era uscito totalmente affranto e mortificato, ma forse ora più consapevole della sua relazione con la figlia e deciso a costruire un rapporto più forte e intimo.

La separazione offre a molti padri la possibilità di riscoprire un’inaspettata sensibilità, attraversare una nuova stagione del proprio “essere padre”, giocare ora un ruolo determinante nella vita dei figli gettando le basi per una relazione più attenta, partecipata e attiva.

Questo succede perché nella nostra cultura siamo ancora portati a pensare che la madre rappresenti il centro nella vita dei bambini anche quando questi sono grandi, e che sempre alla madre sono affidate le scelte e l’organizzazione della vita dei figli, mentre i padri restano nello sfondo. Ora sappiamo quanto la presenza e le cure costanti dei padri siano fondamentali per uno sviluppo armonico e integro dell’essere umano.

E LE MAMME?

Talvolta durante le consulenze mi ritrovo a dire “Qui ci vuole meno mamma, più papà”. Cosa intendo con questa frase che fa sgranare gli occhi dei due genitori (più spesso le madri, solitamente i padri sorridono)? Mi riferisco a quello spazio che noi mamme dobbiamo imparare a lasciare ai padri. Si tratta di spazio fisico ed emotivo: lasciamo che padre e figlio/a possano conoscersi senza la nostra mediazione, che i bambini siano esposti ad un codice affettivo diverso, ma altrettanto indispensabile. Abbandoniamo l’idea che solo noi siamo in grado di prenderci cura della prole, demandiamo e responsabilizziamo i padri nell’accudimento dei figli.

E inoltre, accompagniamo i nostri partner a credere in una paternità nuova, a partecipare con fiducia e coraggio all’esperienza della genitorialità.

Spetta anche a noi il compito di educare i figli maschi all’emotività, al rispetto delle proprie emozioni e alla scoperta del loro mondo interiore, per poter scoprire una volta adulti le meraviglie della paternità.

Bibliografia

A. Pellai, Da uomo a padre. Il percorso emotivo della paternità, Milano, Strade Blu, 2019.

D. Demetrio, L’interiorità maschile. La solitudine egli uomini, Milano, Raffaello Cortina, 2010.

Articolo Scritto dalla dott.ssa Cristina Veronese

Ascolta l’episodio del podcast di Interapia dedicato all’organetto dei padri

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