Nascita, definizione e principi base 

La desensibilizzazione sistematica è una tecnica comportamentale di esposizione scoperta e sviluppata nel 1950 da Joseph Wolpe, medico che si formò prima in ambito psicoanalitico e successivamente in ambito comportamentale. 

Essa si basa sui principi del condizionamento classico e prevede di modificare la risposta di ansia appresa che il soggetto sperimenta di fronte a persone, situazioni ed oggetti, sostituendola con uno stato di rilassamento e tranquillità.

Con la desensibilizzazione sistematica il paziente impara quindi una nuova associazione tra stimolo e risposta che è differente rispetto al comportamento originario appreso. Uno stato mindful sarà il nuovo tipo di risposta che il paziente acquisirà a fronte dello stimolo trigger che nella storia di vita del paziente attiva la paura, e quest’ultima verrà abbandonata non potendo coesistere con il rilassamento che verrà implementato attraverso la suddetta tecnica (McLeod, 2015).

Uno dei principi su cui si basa questa tecnica è quello che Wolpe definì “reciprocal inibition”, ovvero una condizione di incompatibilità tra due risposte emotive polarizzate e quindi tra lo stato di rilassamento che si vuole ottenere con la tecnica e la tensione, l’agitazione e la paura che si attiva in risposta allo stimolo e che quindi ci si aspetta sarà inibita dal prevalere dello stato mindful.

A livello cerebrale, quello che accade è che la risposta di attacco-fuga attivata dal sistema nervoso simpatico è sostituita da una risposta di relax attivata dal sistema nervoso parasimpatico (Fear, 2017).

Come funziona la desensibilizzazione sistematica?

Essa si organizza attraverso tre fasi.

Prima fase: tecniche di rilassamento

È fondamentale, all’inizio dell’intervento, fare in modo che il paziente apprenda delle tecniche di rilassamento. Si parla di apprendimento in quanto l’obiettivo è che il paziente, una volta imparate insieme al terapeuta, possa implementarle ed utilizzarle in modo autonomo nella vita quotidiana. Se ne possono individuare di differenti tipologie, che possono riguardare l’intervento sui gruppi muscolari, sulla respirazione oppure coinvolgere l’immaginazione e la visualizzazione. 

Ad esempio, si può insegnare al paziente il rilassamento muscolare progressivo che prevede di contrarre e decontrarre ritmicamente tutti i gruppi muscolari del corpo, in modo ordinato, con lo scopo di generare uno stato di distensione generale; oppure è possibile implementare la tecnica della respirazione lenta, che prevede di effettuare respiri costituiti da inspirazione ed espirazione di 4 secondi l’una; non da ultimo, si possono integrare tecniche di visualizzazione in cui si evocano immagini profondamente rilassanti per il soggetto in modo che a partire dalla percezione di relax mentale, il soggetto riesca a rilassare differenti parti del corpo.

Seconda fase: individuazione delle situazioni che sono fonte di paura e creazione di una gerarchia tra le stesse

Al soggetto, in questa fase, è richiesto di riflettere su tutte le situazioni, persone e/o stimoli che sono per lui fonte di paura e ansia e di metterle in ordine in base al grado di malessere che sperimenta in relazione alle stesse. Questa fase è molto importante perché permette di avere a disposizione una bussola per la terapia, in quanto orienta l’intervento e permette di prioritizzare le situazioni da affrontare.

Terza fase: esposizioni 

Nell’ultima fase di questa tecnica al paziente è richiesto di esporsi alle situazioni che ha individuato come fonte di ansia e paura, a partire da quella che genera in lui una minor quota di malessere.

L’esposizione può avvenire nella realtà quotidiana e concreta di vita, nell’immaginazione o attraverso la realtà virtuale ed inizia dopo che il soggetto ha evocato e mentre mantiene lo stato di rilassamento, raggiunto attraverso le tecniche apprese nella prima fase dell’intervento. 

Il soggetto continuerà ad esporsi alla stessa situazione, prima di passare a quella successiva della scala gerarchica creata, finché non si sentirà più spaventato da quella condizione e avrà quindi sostituito lo stato di agitazione/paura con lo stato mindful

Un esempio concreto di desensibilizzazione sistematica

Una forma di fobia che può essere particolarmente diffusa è l’aviofobia, la paura di viaggiare in aereo.

Con la desensibilizzazione sistematica si può procedere, dopo l’apprendimento delle strategie di rilassamento, all’individuazione delle situazioni che sono fonte di paura per il soggetto mettendole in ordine di gravità e livello di ansia/paura da lui percepita. La situazione per il soggetto meno ansiogena potrebbe essere, ad esempio, guardare in foto un aereo, fino a quella più ansiogena che potrebbe essere il salire su un aereo ed affrontare un volo.

Si procede individuando tutte le condizioni intermedie tra i due poli e si affrontano progressivamente, passando alla successiva solo quando l’esposizione in corso risulta affrontata senza ansia. 

Per concludere

La desensibilizzazione sistematica si configura come un intervento “evidence – based” in quanto ricerche e studi scientifici ne hanno dimostrato l’efficacia per il trattamento dei disturbi di ansia e delle fobie.

Nonostante i diversi sviluppi effettuati dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale che hanno portato allo sviluppo di nuove tecniche che integrano il lavoro comportamentale a quello cognitivo, sul pensiero, questa tecnica risulta ancora utilizzata proprio alla luce dell’efficacia a breve e lungo termine dimostrata.

BIBLIOGRAFIA 

Fear, R. M. (2017). Systematic desensitisation for panic and phobia: An introduction for health professionals. Routledge.

McLeod, S. A. (2015). Systematic desensitization as a counter conditioning process. Simply Psychology. 

Wolpe, J. (1958). Psychotherapy by reciprocal inhibition. Stanford, CA: Stanford University Press.

Articolo scritto dalla dott.ssa Chiara Mariani psicologa presso il nostro centro di Legnano
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