in questo articolo di approfondimento psicologico sul tema dell’iper compiacenza la dott.ssa Chiara Mariani offrirà uno sguardo su questa tematica poco conosciuta.

Cosa si intende con comportamento di iper-compiacenza?

L’incapacità di dire no e la priorità data alla soddisfazione del bisogno dell’altro rientrano in quello che viene definito comportamento di compiacenza, che si struttura a partire dalla tendenza a porre le necessità degli altri al di sopra delle proprie.

È un comportamento che tende ad essere allineato ad un forte o eccessivo senso del dovere, alla responsabilità, alla propria storia di vita, alle caratteristiche ed aspettative del proprio ruolo; e prevede di lasciare in secondo piano il sé e le proprie reali necessità, che faticano ad essere ascoltate. 

Da dove nasce?

Le ricerche dimostrano che spesso il comportamento di compiacimento nei confronti del prossimo risulta automatico in quanto deriva dal mettere in atto nei confronti degli altri lo stesso tipo di comportamento ed atteggiamento che si assumeva nei confronti dei genitori/caregiver quando si era piccoli.

Essi si configuravano come una strategia per mantenere l’attaccamento, rendere i genitori felici e fare in questo modo esperienza di affetto, oltre che assicurarsi la sopravvivenza. Il comportamento di ipercompiacenza deriva quindi da situazioni infantili poco sicure e lineari, dove il bambino ha fatto esperienza di bisogni non soddisfatti oppure, crescendo, soddisfatti solo in conseguenza all’aver in prima persona soddisfatto il bisogno della persona di accudimento.

Che caratteristiche ha?

Anche in età adulta, il compiacimento diventa quindi uno strumento per ottenere amore, approvazione, considerazione, tutela rispetto alla paura di un ipotetico rifiuto, con la conseguenza negativa di non vedere e negare parti di sé, in favore dell’altro.

Questo comporta anche una difficoltà a stabilire dei confini tra il sé e l’altro e l’esperienza di sentimenti di colpa ogni qual volta non si riesca a soddisfare quello che l’altro chiede o si immagina possa desiderare. Infatti, vi è un grande investimento di energie ed attenzione per comprendere se l’altro è preoccupato per qualche ragione oppure quali siano i suoi desideri. E ovviamente, frasi tipo “ma come sei stato gentile, grazie mille, sei speciale nel fare queste cose” non fanno altro che rinforzare questi comportamenti di compiacimento.

Le relazioni che si creano sono colorate da scuse non necessarie, evitamento di conflitto ma allo stesso tempo risentimento nei confronti dell’altro quando non si ottiene la soddisfazione di un proprio bisogno oppure quando ci si rende conto di una diversa quota di investimento nel rapporto.

Il conflitto negato all’esterno per paura di rimanere solo si genera, al contrario, all’interno della stessa persona: si ha paura di mostrare il proprio autentico sé e le proprie emozioni negative, come la rabbia, perché questo potrebbe essere fonte di preoccupazione per la rottura del legame ma allo stesso tempo sono differenti i sentimenti di frustrazione e risentimento sperimentati per la negazione dei propri bisogni e una mancata soddisfazione degli stessi da parte degli altri.

Questo comporta che la persona non riesca a stare bene né con se stesso né con gli altri, per l’assenza di autenticità. 

Come è possibile intervenire per interrompere questa modalità relazionale?

  • Stare con se stessi e praticare la self – compassion: iniziare a capire quali siano i propri bisogni, ciò che piace, come concentrarsi su se stessi e allo stesso tempo imparare a parlarsi in modo compassionevole e gentile. Questo permette di sentirsi amati, apprezzati, di provare calore e aumentare la propria autostima, nonché di provare a darsi quelle soddisfazioni che sono state per anni negate. Questo comporta, nel tempo, riuscire a viversi in modo autentico;
  • Provare a stabilire, inizialmente, dei confini intermedi con gli altri che potranno diventare nel tempo sempre più definiti e chiari: dato che dire direttamente “no” può essere fonte di pensieri ansiosi e paure, imparare ad integrare nel proprio linguaggio frasi come “fammi pensare se riesco” “controllo e ti dico” quando viene chiesta una commissione o un favore, può essere un primo tentativo di mettere in atto un comportamento diverso dall’ipercompiacenza. Quindi è utile ricordarsi che si ha sempre una possibilità di scelta e ponderare se ha senso mettere in atto quel comportamento richiesto dall’altro;
  • Accedere alla terapia: la terapia è utile per entrare in contatto con i propri stili di attaccamento, per comprendere nella propria storia come si è strutturato quel comportamento relazionale, per quale motivo e per apprendere un modo di funzionare nel mondo delle relazioni che sia differente e fonte di benessere individuale. La terapia cognitivo-comportamentale può anche aiutare a sconfiggere quei pensieri disfunzionali, che sono poi causa dell’emotività negativa, che si affacciano nella mente e assumono le sembianze di “se mi ha detto no è perché non mi ama” “non sono degno di amore perché se no avrebbe fatto per me quello che io faccio per lui/lei”. All’interno del contesto terapeutico si può apprendere, quindi, un modo nuovo di stare con se stessi e con gli altri.

BIBLIOGRAFIA 

Bowlby, J. (1977). The making and breaking of affectional bonds: I. Aetiology and psychopathology in the light of attachment theory. The British journal of psychiatry, 130(3), 201-210

Carter, C. (2016). Why it doesn’t pay to be a people pleaser.

Kaufman SB, Jauk E. Healthy selfishness and pathological altruism: Measuring two paradoxical forms of selfishness. Front Psychol. 2020;0. 

Trull TJ, Widiger TA. Dimensional models of personality: The five-factor model and the DSM-5. Dialogues Clin Neurosci. 2013;15(2):135-146 

5/5 - (1 vote)
Iscriviti alla newsletter di interapia

Iscriviti alla newsletter di interapia

Iscriviti alla newsletter del Centro Interapia per ricevere le ultime notizie di psicologia direttamente e in maniera gratuita nella tua casella di posta.

Grazie per esserti iscritto alla nostra newsletter