Il senso di autoefficacia riguarda giudizi di capacità personale, mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale”(A. Bandura)

Con il termine Senso di Autoefficacia ci si riferisce ad una serie di convinzioni che caratterizzano ognuno di noi in relazione a quanto ci si ritiene capaci di poter portare a termine determinati compiti. L’autoefficacia riguarda, quindi, sia la possibilità di raggiungere uno scopo sia la perseveranza di fronte ad ostacoli e difficoltà.

In altre parole, l’autoefficacia corrisponde alla percezione di avere delle capacità personali finalizzate al raggiungimento dei propri obiettivi e, dal momento che difficilmente si persegue qualcosa che viene considerato al di fuori delle proprie capacità, ciò che si decide di voler ottenere dipende in larga parte proprio dalla fiducia riposta in sé e in ciò che si crede di saper fare.

Per riuscire a cogliere qual è il proprio livello di competenza in un determinato ambito, occorre un certo grado di consapevolezza di sé e delle proprie abilità. 

L’autoefficacia si basa su un insieme di convinzioni e credenze sul sé che si sviluppano nel corso del tempo e che si basano su processi di ragionamento riflessivo e metacognitivo. In questo senso, la percezione di autoefficacia altro non è se non l’esito dell’elaborazione cognitiva di informazioni che riguardano il “come si è andati” in seguito a determinati eventi e circostanze. I feedback ricevuti, siano essi interni o esterni, danno modo alla persona di capire come si sia comportata e come abbia agito, se sia stata o meno efficace, se abbia messo in campo al meglio le proprie abilità o se ci siano ambiti ed aspetti migliorabili. 

Il primo a definire il costrutto dell’autoefficacia fu Albert Bandura, psicologo di origine canadese, nel 1986. All’interno della sua teoria dell’Apprendimento Sociale, lo studioso concettualizza l’idea secondo la quale i bambini imparano all’interno del proprio contesto di vita, spesso attraverso l’osservazione e l’imitazione del comportamento altrui. In questo senso, il comportamento sarebbe il risultato di un processo in cui fattori ambientali e interpersonali giocano un ruolo di pari importanza.

Nella teoria di Bandura, anche i pensieri e le emozioni acquistano un ruolo dirimente, mettendo in evidenza come le aspettative proprie e altrui riguardanti le prestazioni esercitino un’influenza sui comportamenti, sulla valutazione dei risultati ottenuti e, quindi, sull’apprendimento.

In questo senso, i comportamenti e le prestazioni individuali sono influenzati dalle aspettative riguardo le proprie capacità. Ma non è tanto la memoria storia e autobiografica di successi e insuccessi ad essere impattante sulla propria capacità d’azione futura, quanto piuttosto le interpretazioni soggettive e le interpretazioni che vengono date.

Il processo mediante cui l’individuo valuta soggettivamente i propri comportamenti e prestazioni è influenzato anche dal tipo di attribuzioni causali che vengono attribuite. Une delle modalità che l’essere umano ha per dare un senso a ciò che accade, infatti, è quella di attribuire delle cause.Ad esempio, il raggiungimento di un obiettivo può essere considerato come causato da fattori esterni, come può essere la fortuna, o interni, come la tenacia e la persistenza.

In quest’ottica, se un individuo ritiene che il risultato della propria prestazione dipenda largamente dall’impegno messo, ovvero da una causa interna e controllabile, le aspettative di successo saranno di gran lunga maggiori rispetto a quelle di chi pensa che tutto dipenda da cause esterne e incontrollabili, come la fortuna. 

Analogamente, chi attribuisce i propri successi passati a cause interne (capacità, impegno, …) è anche più incline a pensare di poter ottenere ulteriori successi in futuro, in un circolo virtuoso di aspettative costruttive e funzionali riguardanti le proprie azioni future. 

Viceversa, attribuire il proprio insuccesso a fattori esterni, instabili, incontrollabili, porterà invece a ritenere che i risultati negativi si verificheranno di nuovo in futuro in altre circostanze, innescando una spirale di scarso impegno, sfiducia nelle proprie capacità e impotenza.

Secondo le teorie sull’autoefficacia, le credenze su se stessi dipendono anche dall’influenza reciproca di quattro diversi processi psicologici:

Aspetti cognitivi: il senso di autoefficacia è mediato dall‘immagine che si ha di sé, in quanto perdente o vincente, e dalle capacità di problem solving che si sono acquisite nel corso del tempo;

Processi motivazionali: la motivazione è inevitabilmente collegata alla percezione di autoefficacia. Sulla base dei risultati che ci aspettiamo di ottenere, scegliamo i nostri obiettivi e ci impregniamo per raggiungerli;

Processi affettivi: la percezione di poter controllare in qualche modo i fattori esterni che ci preoccupano è fondamentale per contenere l’ansia. Se gli eventi sono fuori dal nostro controllo, vengono percepiti come pericolosi e ciò genera pensieri catastrofizzanti;

Abilità di circondarsi da ambienti favorevoli il raggiungimento degli obiettivi preposti, sempre sulla base di quanto ci si ritiene capaci;

Processi di selezione: a monte di qualsiasi prova da affrontare, vi è la scelta dell’ambito in cui cimentarsi. Una persona può scegliere un contesto piuttosto che un altro sulla base delle possibilità ambientali piuttosto che del suo livello di interesse.

Riassumendo, il senso di autoefficacia non è l’insieme delle competenze che mettono nella condizione di fare bene qualcosa, ma è ciò che si pensa riguardo le possibilità di riuscire, andando poi a determinare il modo in cui ci si pone dinanzi le piccole e grandi sfide che la vita offre.

In  questo senso, ad un basso senso di autoefficacia corrisponde spesso una serie comportamenti di evitamento delle situazioni, basse aspirazioni e poco impegno; nonché rimuginio su dubbi  e deficienze, vulnerabilità a stress e depressione e, di conseguenza, un recupero lento del proprio senso di autoefficacia in seguito ad insuccessi.

Al contrario, una persona con alto senso di autoefficacia è più propensa ad affrontare attivamente le difficoltà, ponendosi obiettivi di cambiamento e perseverando per raggiungerli attraverso la ricerca di soluzioni. Gli insuccessi sono ritenuti rimediabili e portano a rinnovata energia da mettere in campo per poter raggiungere il proprio obiettivo, dimostrando di avere minore vulnerabilità a stress e depressione.

Nella relazione tra obiettivo e prestazione, quindi, le convinzioni personali di efficacia e adeguatezza hanno un peso molto importante, influendo sul livello di sfida degli obiettivi scelti, sulle strategie e sull’impegno necessario per perseguirli.

Appare così maggiormente più comprensibile come sia possibile che, nei contesti lavorativi, siano le persone con bassa autoefficacia ad essere più inclini agli stress emotivi rispetto a quelle con elevata efficacia personale, che risultano, invece, più resistenti alle richieste, alle difficoltà e all’azione di fattori stressanti.

A parità di abilità e di competenze, la persona con un forte senso di autoefficacia sceglie obiettivi più alti, è più soddisfatta, utilizza le proprie capacità al meglio, è meno ansiosa, gestisce meglio i momenti di difficoltà e i propri fallimenti, è più determinata, e, in sostanza, ottiene risultati significativamente più apprezzabili di chi, al contrario, ha una percezione negativa delle proprie capacità.

Quando si verifica una rottura del senso di efficacia, può anche verificarsi una condizione di stress da lavoro o addirittura la sindrome da burnout, ossia una forte sofferenza individuale, un esaurimento emozionale che porta a provare disinteresse verso le persone e le attività legate all’ambito del lavoro.

In generale, lo stress da lavoro si verifica ogni qualvolta si è in presenza di una discordanza tra la natura del lavoro e la natura della persona che lo svolge; può riguardare un sovraccarico o una mancanza di riconoscimento, il risultato sarà comunque un senso di impotenza che mette il soggetto nella posizione di non ritenere che ciò che fa o vorrebbe fare influisca sull’esito degli eventi, contribuendo così ad una riduzione della percezione delle capacità personali.

In ogni caso, le credenze di autoefficacia non sono stabili, fisse ed immutabili, ma, proprio in virtù delle esperienze caleidoscopiche che una persona affronta nel corso della propria vita, si generano e modificano in modo costante, sulla base di almeno cinque fattori:

Esperienze di mastery: precedenti esperienze di padroneggiamento e successo nello stesso compito aumentano l’autoefficacia percepita, che aumenta così la perseveranza nel superare le difficoltà durante l’esecuzione del compito stesso;

Esperienza vicaria: la presenza di modelli sociali, come genitori, insegnanti o pari, che affrontano efficacemente delle sfide, possono stimolare l’apprendimento di nuove abilità e strategie, andando ad aumentare così anche il proprio senso di autoefficacia;

– Persuasione sociale: una persuasione sociale convincente fornita da altri significativi, come genitori e insegnanti, può aumentare l’autoefficacia di un giovane, sempre che egli possieda almeno un po’ quella capacità. Il fallimento dopo aver intrapreso un compito difficile con false aspettative di successo può essere molto dannoso per le credenze di autoefficacia in quell’ambito;

Stati fisiologici ed affettivi: le condizioni fisiologiche ed emozionali attuali e percepite influenzano le credenze di autoefficacia di una persona. Queste condizioni includono la prontezza fisica e mentale all’azione, il tasso di affaticamento e influenzano direttamente la decisione di continuare o arrendersi.

Profonda importanza rivestono anche le credenze riferite al sé riguardo queste condizioni;- Esperienze immaginative: ripetizioni immaginative di performance positive o negative possono migliorare le capacità di coping e l’autoefficacia (tecniche cognitivo-comportamentali che usano le esperienze immaginative sono ad esempio la desensibilizzazione sistematica e il covert modeling).

Proprio questi fattori, costituiscono anche la base per poter lavorare sul miglioramento e l’implementazione del proprio senso di autoefficacia.

Credere in te stesso non ti garantisce un successo sicuro. Ma non credere in te stesso produce senza dubbio un insuccesso. (A. Bandura)

Bibliografia:

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Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni (1997, ed. it. 2000b) , Erickson Ed.

Klassen R. M. and Usher E. L. , “Self-efficacy in educational settings: recent research and emerging directions,” in Advances in Motivation and Achievement Vol. 16A: The Decade Ahead: Theoretical Perspectives on Motivation and Achievement, S. Karabenick and T. C. Urdan, Eds., vol. 16, pp. 1–33, Emerald Books, Bingley, UK, 2010.

Maddux J. E. and Gosselin J. T., “Self-efficacy,” in Handbook of Self and Identity, M. R. Leary and J. P. Tangney, Eds., pp. 218– 237, Guilford Press, New York, NY, USA, 2003.

Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi psicologa presso ili centro di psicologia di Legnano

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