Conoscete l’etimologia della parola “autonomia”? Personalmente ritenevo di conoscere molto bene il significato di questo termine, perché chi abita i contesti educativi lo utilizza praticamente quotidianamente, ma la sua origine e il suo destino meritano una riflessione. 

Dal greco αὐτο -, auto – e νόμος, nomos, “legge”, ovvero “legge propria” – libertà di vivere secondo le leggi proprie. Che significa – svolgere le cose secondo i miei gusti, attraverso le mie modalità e possibilità -. 

Ma noi genitori teniamo conto di questi aspetti o consideriamo le autonomie come insieme di conquiste prestabilite entro tempi utili a noi? E noi professionisti della cura siamo rispettosi del processo o ci imbattiamo in obiettivi con l’intento di accontentare i nostri stakeholder secondari (genitori, assistenti sociali, coordinatori, responsabili, etc..) e perché no, noi stessi? 

E soprattutto, lasciamo che i nostri figli o i nostri utenti mettano in pratica le “proprie leggi”? Lasciamo che siano autentici nella conquista delle più raffinate azioni quotidiane? 

LIBERTÀ PER CONOSCERE E COMPRENDERE

Vi è capitato di dire: “Lascia stare faccio io, tu sei troppo piccolo/a!”? Ogni giorno priviamo i nostri figli della possibilità di sperimentare e svolgere attività interessanti e funzionali allo sviluppo delle competenze emotive, cognitive e motorie. Ancora oggi, infatti, percepiamo l’infante come poco competente: la questione culturalmente condivisa proviene dalla tendenza a considerare le azioni secondo una logica adulta; per questo interveniamo sostituendoci ogni qualvolta vediamo in loro una certa fatica. Ciò che ci sfugge è che per il bambino o la bambina raggiungere e realizzare il loro intento è espressione di gioia e soddisfazione, non qualcosa di gravoso. 

Ad esempio, proprio come accade loro, i bimbi piccoli desiderano lavare i giochi, senza però aver maturato le competenze per gestire e organizzare lo spazio o scegliere il momento opportuno, ed è qui che serve l’intervento dell’adulto. Contenere e costruire un setting adeguato è ben diverso che limitarne completamente l’azione perché non ritenuto capace. Fin quando una competenza non viene conquistata e “governata” dal/dalla bambino/a, essa va sostenuta, accompagnata, vigilata da un adulto attento e disponibile che pazientemente sappia supportare senza invadere o sovrastare. I bambini non necessitano di idee per agire, ma solo di supporto nei tempi, nei modi e nei luoghi. 

LA SOGLIA DELL’INTERVENTO 

Maria Montessori scrive: “L’adulto deve fare quel tanto che è necessario affinché il bambino possa utilmente agire da solo: se fa meno del necessario, il bambino non può agire utilmente; se fa più del necessario, e perciò si impone o si sostituisce al bambino, spegne i suoi impulsi fattivi”. 

Ma qual è il limite oltre il quale è necessario il nostro intervento? Il limite ideale viene chiamato “soglia dell’intervento”. Per aiutare i nostri bambini, ragazzi, adulti ad avanzare verso la via dell’autonomia l’adulto educatore (i genitori sono i primi educatori) deve predisporre un ambiente favorevole affinché la persona possa evolvere per mezzo delle attività e in rapporto al materiale con cui sta lavorando.  Il compito è osservare il bambino (o adulto che sia) nella sua unicità, cogliere nel tempo quali interessi si accendono in lui o lei e capire quali stimoli proporre per favorire nuove conquiste. M. Montessori ci insegna poi la lentezza e l’ordine con i quali vanno organizzate e presentate le nuove abilità; il passo successivo è l’attesa e nuovamente l’osservazione. Non sono necessarie le parole o l’intervento laddove vi è una guida costante nella crescita, un sano sostegno allo sviluppo della capacità di autovalutazione e dell’autostima offrendo un riscontro che sia descrittivo (per questo ti consiglio la lettura dell’articolo sull’autostima). 

Le lodi non servono, la miglior gratificazione si ha attraverso l’esperienza stessa e nella possibilità di aver investito le proprie energie, nell’aver superato un ostacolo grazie alle risorse personali. 

Tutto questo processo richiede un’estrema sensibilità e un cambiamento significativo nelle modalità relazionali tra l’adulto/educatore e il suo educando (bambino, adolescente, adulto, anziano). 

Ogni volta che vediamo il nostro interlocutore che sta per affrontare una difficoltà, tratteniamoci dall’intervento e chiediamoci “E’ davvero necessario o può farcela da solo/a?”. 

ATTENZIONE AL PROCESSO: QUANDO L’ INVOLUZIONE È FORMATIVA 

Ogni giorno, come un mantra, dobbiamo ricordarci di imparare ad osservare, sostare, riflettere, riconoscendo in chi ci sta di fronte capacità e desideri (ricordate “libertà di vivere secondo le proprie leggi”). Partendo da questi concetti dobbiamo calarci nella realtà e provare a traslarli nella vita quotidiana. Che cosa accade quando i nostri bambini o educandi affrontano un’involuzione (o perché noi anche in noi stessi)? Una frenata brusca, una regressione nel processo di apprendimento? Solitamente si manifestano in noi educatori naturali e non, sentimenti quali sgomento, sensi di colpa e avvilimento soprattutto quando ci sono delle aspettative molto alte (pensiamo ad una bocciatura, ad un fallimento o a fenomeni quali l’enuresi notturna; o ancora alle regressioni nel linguaggio o di abilità non verbali).

Questi sentimenti sono più che leciti, ma provare a considerare il processo è forse la strategia migliore. Tentare di cogliere il movimento intrinseco che sta dietro al fenomeno e decidere di mettersi in una posizione di accettazione offre alla piccola o grande persona la libertà di muoversi secondo le proprie leggi, in parole semplici di affrontare le proprie autonomie. 

Consideriamo per una volta l’involuzione, la regressione e la recessione come una danza, un flusso transitorio verso l’ignoto; perché evolvere, migliorare, affrontare l’inesplorato può spaventare, irrigidire, generare ansia.

Allora non ci resta che silenziosamente accompagnare il nostro educando e riconoscere che queste fasi fanno parte del processo di crescita di ognuno di noi; garantire un contesto fisico ed emotivo sicuro e avere massima fiducia nelle capacità della persona.

Vi porto un esempio che mi capita di sentire frequentemente e riguarda le autonomie acquisite e la somministrazione dei pasti. I bambini che frequentano i servizi per l’infanzia mangiano solitamente in maniera autonoma ma una volta rientrati a casa richiedono l’intervento dell’adulto; e mentre voi vorreste goderti la cena loro smettono di mangiare e pretendono la vostra mediazione.

Quello che potrebbe essere letto come un capriccio o una fase regressiva non è che spesso una richiesta di intesa, vicinanza, affetto. Perché mentre i genitori svolgono le loro consuete attività, i bambini affrontano una giornata senza la loro compagnia, probabilmente attendendo la loro amorevole presenza. 

Questione ben diversa è quella di imboccare i vostri figli mentre guardano la televisione, il tablet o il telefono; questa sì che è un’abitudine che si ripercuote sulle loro autonomie. 

E SE SBAGLIA?

L’errore insegna alla persona a perfezionarsi da solo: fare esperienza e potersi correggere autonomamente, senza un giudizio dall’esterno, gli o le permette di divenire padrone di sé, di conoscersi, di percepire il proprio corpo e le sue funzioni. Il segreto del perfezionamento sta nella ripetizione e perciò nel collegare gli esercizi alle mansioni consuete della vita reale; allo stesso modo, il gioco libero e indisturbato consolida le competenze.; dunque, i giochi eccessivamente colorati e rumorosi sono sconsigliati perché non solo ingenerano caos e confusone nei bambini, ma non hanno alcuna attinenza con quello che poi sperimenteranno nella realtà. 

Il fanciullo passa da forme di sviluppo psicologico e fisico estremamente primitive a forme sempre più complesse e articolate e questo non è automatico, né regolare, tanto meno prevedibile: l’indipendenza è un processo che si costruisce a piccoli passi, con gradualità e risposte adeguate ai bisogni profondi di crescita e autodeterminazione. L’errore non è che uno delle modalità con cui i bambini e le bambine si avvicinano all’apprendimento.  

FACCIO DA SOLO/A!

Dario ha sette anni e richiede con insistenza la presenza di un adulto: dal gioco alla preparazione della cartella, perfino nella scelta della merenda. Le sue richieste sono incalzanti ed estenuanti tanto che i genitori si sentono in balia dei suoi bisogni. In questi casi è necessario pensare a quali spazi di autonomia possono essere gestiti dal bambino secondo le sue abilità e i suoi desideri. Questa operazione va imbastita fin da quando il cucciolo può gattonare: quali azioni può compiere da solo/a?  Vi assicuro che sono tantissime e possono aumentare col passare del tempo. Ecco alcuni suggerimenti:

  • Mettete i giochi alla loro altezza e togliete tutto ciò che può essere pericoloso;
  • Lasciateli liberi di scegliere!
  • Proponete stimoli differenti per qualità e funzione; 
  • Offrite loro oggetti di vita quotidiana (frutta, verdura, mestoli e cucchiai, pentole, elementi della natura, stoffe etc…);
  • Disponete in modo ordinato pochi giochi alla volta (troppi stimoli non favoriscono apprendimento e concentrazione) e bandite l’eccesso di plastica.

Per i più grandi:

  • Lasciate che preparino loro cartella e merenda (le prime volte sotto la vostra supervisione);
  • Attenzione all’altezza: adeguate la disposizione degli oggetti in base alle loro possibilità. Questo vale ad esempio per l’acqua, il kit dell’igiene personale, merende ecc., appendiabiti (un pomello non rovinerà il vostro arrendamento ma offrirà loro la possibilità di gestire i propri oggetti e percepire di essere visti e osservati quindi amati); 
  • Proponete loro, fin dalla tenera età, azioni che appartengono alla vita reale (pulizia dei piatti, sistemazione delle stoviglie, ecc..).
  • Scegliete insieme un posto per ogni cosa (così potrete lamentarvi se non tengono in ordine); 

In poche parole, i bambini cominciano a sviluppare la propria autonomia fin dalla nascita, ed è bene che gli adulti di riferimento li assecondino e li incoraggino in questo lungo processo lasciando loro la libertà di provare e sbagliare. 

Chiediamoci infine se l’indipendenza dei figli fa vacillare il nostro bisogno di proteggerli e accudirli. Rispettare la loro libertà, il loro personalissimo modo di muoversi nel mondo secondo le proprie attitudini sapendo essere congiuntamente accudenti e amorevoli è il compito più difficile che un genitore può realizzare.

Articolo scritto dalla dott.ssa Cristina Veronese pedagogista

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