Autocriticismo: lo studio di Kim e Coll. è la prima prova che i modelli di attaccamento appresi durante la prima infanzia possono modulare le risposte alle minacce e le immagini mentali quando si fa autocritica, esercitando una potente influenza sulla relazione quotidiana con sé stessi.

Una caratteristica chiave delle problematiche di salute mentale è il modo in cui le persone costruiscono rappresentazioni interne di sé  che diventano fonte di giudizio, valutazione autocritica.

L’autocriticismo è stato individuato come fattore altamente implicato nella depressione (ruminazione), nell’ansia e nella fobia sociale, impedendo il recupero da problemi di salute mentale (Werner, 2019).

Autocriticismo e stile di attaccamento insicuro

Generalmente l’autocriticismo è un tratto comune in persone con uno stile di attaccamento insicuro, ovvero con alle spalle storie di attaccamento con genitori critici, rifiutanti o anche iperprotettivi. Le prime esperienze di relazione con le figure primarie hanno un impatto significativo sul modo in cui si impara a relazionarsi con sè stessi: pertanto se i tuoi genitori sono eccessivamente critici nei tuoi confronti, è altamente probabile che interiorizzi questo processo di relazione e diventi eccessivamente critico con te stesso.

Non solo, l’essere stati esposti a episodi di maltrattamento in infanzia può alterare la stessa capacità di elaborazione delle informazioni a livello emotivo in età adulta, per via di concomitanti alterazioni neurofisiologiche.

Relazione tra stili di attaccamento e marcatori neurali di autocritica

Jeffrey J.Kim e coll. (2020) hanno condotto una ricerca unica nel suo genere; attraverso rilevazioni dell’attività cerebrale tramite fMRI hanno indagato la relazione tra stili di attaccamento e marcatori neurali di autocritica.

Nello specifico hanno reclutato 40 partecipanti ai quali sono stati sottoposti 60 stimoli scritti inerenti un fallimento, un errore personale o una battuta d’arresto, suddivisi in 30 affermazioni emotive e in 30 affermazioni neutre.

Dalle varie analisi di correlazione, il dato principale che emerge è che gli individui con maggiori livelli di attaccamento sicuro che stavano sperimentando alti livelli di attivazione dell’amigdala (attivazione emozionale) avevano una maggiore attivazione di una regione cerebrale specifica, il giro linguale, marcatore neurale di immagini mentali visive legate ad esperienze di minaccia e autocritica. Al contrario, quelle persone con maggiori livelli di attaccamento insicuro e più specificatamente di tipo evitante, nei momenti di maggiore attivazione emozionale, riportano una minor attività del giro linguale.

I pro e contro dello studio

In parole più semplici, gli individui con attaccamento sicuro, in virtù dell’esperienza di sicurezza emotiva data dai loro ‘modelli operativi interni’ (sostanzialmente le figure genitoriali), si ingaggiano in un maggior reclutamento di immagini mentali visive legate all’autocritica e potenzialmente minacciose; ciò suggerisce una disponibilità emotiva a confrontarsi con le reali e potenziali minacce così da prontamente agire in maniera efficace con adeguate strategie di coping. Mostrano una maggior propensione all’immaginazione mentale durante l’autocritica e possiedono internamente quei modelli sicuri a cui far riferimento per attingere a quel serbatoio di risorse per far fronte alla minaccia dell’autocritica (anche per come l’autocritica viene percepita dentro il proprio corpo, sperimentata e come se assumesse forma visiva).

Di contro, persone con uno stile evitante di attaccamento non hanno accesso a modelli di lavoro interni sicuri e quindi mancano di queste risorse di coping. Per proteggersi dal senso di minaccia interno, ricorrono a strategie rudimentali di negazione o dissociazione dall’episodio minaccioso; si impegnano in misura minore in attività di immaginazione mentale funzionale ad una efficace autoregolazione emotiva interna dalla quale discendono conseguenze sul più generale piano delle relazioni interpersonali (siano relazioni affettive o lavorative).

Concettualizzare gli stili auto-riferiti di valutazione

Lo studio di Kim e coll. è altresì interessante poiché porta prove empiriche all’esistenza di ‘scorciatoie’ al di sotto dell’attività corticale e del campo di consapevolezza, che hanno più a che fare con una modalità di processamento delle informazioni più di tipo sensoriale e non puramente cognitivo. Gli autori sottolineano la necessità di concettualizzare gli stili auto-riferiti di valutazione come operazioni ‘incarnate’.

Pertanto il trattamento dell’auto-criticismo in psicoterapia non dovrebbe limitarsi alla disputa delle credenze cognitive di autocritica, ciò si rivelerebbe alquanto problematico per gli autori. L’optimum terapeutico sarebbe bensì quello di dotare coloro che hanno alle spalle storie di attaccamento insicuro della capacità di creare i propri modelli di lavoro interiori in cui si possano sentire al sicuro; sostanzialmente attraverso un processo di modeling. In particolare gli autori citano tra gli approcci terapeutici più indicati la Compassion Focused Therapy (Catarino, Gilbert et al.,2014).

Autocriticismo e senso interiore di sicurezza

Questo approccio invita la persona a impegnarsi in abilità e pratiche di allenamento della mente compassionevole al fine di costruire il proprio senso interiore di sicurezza e aumentare la percezione dei marcatori fisiologici sia a riposo che correlati ad eventi critici attivanti, ai quali rispondere con qualità di calma, sicurezza e autoregolazione per favorire una miglior elaborazione delle minacce. E’ stato dimostrato che la conquista di uno stile interno di rassicurazione di sé si associa ad un aumento del tono vagale attraverso misurazioni della variabilità della frequenza cardiaca.

Una volta sviluppata una diversa modalità di strategia mentale auto-riferita, la terapia può procedere con un focus più specifico sulla comprensione delle forme e delle due principali funzioni dell’autocritica, spesso tra loro in competizione, ovvero l’autocorrezione (per migliorare sé stessi) e l’autopersecuzione (per attaccare sé stessi), per poi abbracciare le aree della vergogna e del trauma.

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Bibliografia

Jeffrey J. Kim ,Kirsty M. Kent , Ross Cunnington, Paolo Gilbert & James N. Kirby Attachment styles modulate neural markers of threat and imagery when engaging in self-criticism. Scientific Reports DOI:10.1038/s41598-020-70772-x

Werner, A. M., Tibubos, A. N., Rohrmann, S. & Reiss, N. The clinical trait self-criticism and its relation to psychopathology: a systematic review—update. J. Affect. Disord. 246, 530–547 (2019)

Catarino, F., Gilbert, P., McEwan, K. & Baião, R. Compassion motivations: distinguishing submissive compassion from genuine compassion and its association with shame, submissive behavior, depression, anxiety and stress. J. Soc. Clin. Psychol. 33, 399–412 (2014)

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