Paul Gilbert la definisce come una profonda consapevolezza della sofferenza propria e altrui, unita all’augurio e all’impegno di poterla alleviare.

Definizioni dunque lontane dal senso di commiserazione, pietà e giudizio con cui oggi viene utilizzato questo termine in Occidente. Nel suo significato originario, infatti, “compassione” significa soffrire insieme (cum patiri). Quando ci accorgiamo della sofferenza di qualcuno e veniamo toccati da questa, nasce spontaneamente anche il desiderio di aiutare la persona che sta soffrendo.  

Con la self compassion rivolgiamo questi atteggiamenti di comprensione e aiuto nei confronti di noi stessi, rivolgendoci conforto e riconoscendo di essere in un momento difficile. Questi atteggiamenti spesso ci risultano spontanei nei confronti degli altri e dei nostri cari amici, mentre con noi stessi tendiamo a essere più critici e giudicanti. Sviluppando la self compassion impariamo invece a essere gentili e comprensivi nei confronti di noi stessi e di fronte ai nostri errori e fallimenti.

Secondo Kristin Neff, una delle principali esponenti in questo campo, self-compassion significa “prenderci cura di noi, come di qualcuno che amiamo profondamente, quando soffriamo”. 

La self-compassion racchiude dentro di sé tre componenti principali: 

  • Gentilezza verso se stessi: implica il trattare sé stessi con comprensione e cura, invece di darci giudizi severi e impietosi, e il consolarsi e darsi conforto in modo intenzionale. Solitamente non ci viene spontaneo mettere in atto questi atteggiamenti nei confronti di noi stessi mentre ci risulta più facile farlo con gli altri. Praticando la self compassion impariamo a riconoscere che l’imperfezione, gli errori e le difficoltà della vita sono inevitabili e solo accettando con gentilezza quello che ci succede avremo un maggior equilibrio emotivo, mentre se combattiamo e lottiamo contro ciò che non ci piace la nostra sofferenza aumenterà.
  • Senso di comune umanità: riguarda il vedere quello che ci capita come qualcosa che può accadere a tutto il genere umano, non qualcosa di anormale e di unico. Spesso pensiamo di essere gli unici a soffrire e a sbagliare così tanto, ma in realtà tutti soffrono. Praticando la self compassion riconosciamo che la nostra sofferenza fa parte di un’esperienza umana condivisa, non qualcosa che riguarda solo noi.
  • Mindfulness: comprende la capacità di permetterci di “stare” con le sensazioni dolorose, così come sono, ed evitare di fuggire dalle sensazioni dolorose o di (provare a) sopprimerle. Sviluppare self compassion implica infatti anche avere un atteggiamento di osservazione dei pensieri e delle emozioni negative così come sono, senza giudizio e senza tentare di cambiarle.

Ma come mai è così difficile praticare la self compassion e dunque essere gentili con noi stessi? Alcuni falsi miti esistenti sulla self compassion, che adesso vediamo, possono darci una risposta del perché siamo restii a praticarla:

  • La self compassion è un auto compatimento, una forma di dispiacere nei confronti di se stessi. In realtà, self compassion e auto compatimento sono due cose profondamente diverse: l’auto compatimento porta a rimanere immersi nel proprio problema credendo di essere gli unici a soffrire e non permettendo di vedere la propria situazione da altri punti di vista; la self compassion, al contrario, ci permette di vedere che anche gli altri soffrono senza sentirci isolati e di vedere tutto ciò che ci capita da una prospettiva più ampia.
  • Self compassion significa debolezza. Al contrario la self compassion è una forma di resilienza molto potente che ci aiuta ad affrontare le difficoltà e ad andare avanti, anziché rimanere bloccati e fermi in ciò che di brutto ci è capitato, magari cercando di fare i forti.
  • La self compassion rende compiacenti e dunque ostacola la nostra motivazione a fare meglio. È molto diffusa l’idea che l’auto punizione e l’auto critica per non essere stati all’altezza dei nostri ideali e per aver fallito siano essenziali per non cadere in un atteggiamento disfattista. Molte ricerche in realtà mostrano che la self compassion è un fattore di forza per la motivazione personale più efficace dell’autopunizione. 
  • La self compassion è narcisistica. Al contrario, la self compassion non è legata a un giudizio o a una valutazione di sé, ma è un modo di relazionarci a noi stessi con gentilezza e accettazione e comprende il riconoscimento che tutti condividiamo le sofferenze e l’imperfezione.
  • La self compassion è egoismo. Molti pensano che essere amorevoli e gentili con se stessi implichi automaticamente trascurare gli altri e che quindi sia un atteggiamento egoistico, come se la gentilezza possa essere indirizzata o a se stessi o agli altri ma non ad entrambi. In realtà, essere gentili e amorevoli con noi stessi ci permette di soddisfare molti dei nostri bisogni emotivi creando una situazione migliore per poi rivolgerci agli altri. 

Le persone, soprattutto nelle culture occidentali, tendono a rimanere nell’autocriticismo vedendo la compassione e la gentilezza verso se stessi come forme di autoindulgenza e pigrizia. Il mondo in cui viviamo è orientato alla competizione, alla ricerca della perfezione, al fare sempre di più, al meritarsi qualcosa solo se non si commettono errori e questo allontana certamente dalla self compassion.

Provate a rivolgervi delle parole gentili quando sbagliate qualcosa o quando non siete stati all’altezza dei vostri ideali, come vi sentite? Probabilmente a disagio, come se fossero delle parole fuori luogo, ma se a poco a poco introducete nella vostra vita la self compassion vedrete affacciarsi tanti benefici

La self compassion è in grado ad esempio di alleviare il disagio mentale, ma anche di accrescere le nostre capacità e il nostro benessere.

Alcuni studi hanno mostrato che aumenta la motivazione a migliorare dopo un fallimento iniziale, nonostante sia invece credenza diffusa che solo l’auto critica ci permetta di migliorare. La self compassion impatta anche nell’ambito delle relazioni interpersonali aumentando la probabilità di chiedere scusa, far pace con gli altri, riconoscere i propri errori.

Ci da la sicurezza di poter riconoscere di aver sbagliato, di stare male, che questo è umano perché tutti commettono errori e di chiederci cosa possiamo fare per riparare. La self compassion inoltre si contrappone al nostro giudice interiore che spesso attiva processi di rimuginio e ruminazione aumentando di conseguenza la nostra sofferenza emotiva.

Come fare dunque per praticare la self compassion?

La prima cosa da fare è sviluppare la consapevolezza, cioè riconoscere quando si attiva il nostro giudice interiore, quella voce che ci dice cose tipo “hai fallito come sempre”, “non sei stato bravo come gli altri” ecc. In contemporanea, possiamo iniziare ad allenare un’altra voce, più calda e gentile che considera i nostri bisogni e le nostre difficoltà e che potrebbe dirci frasi come “è normale commettere errori”, “sono in un momento di vita difficile, come posso prendermi cura di me?” etc. 

Ci sono inoltre molte pratiche di mindfulness e di self-compassion che aiutano sia questo processo di osservazione e riconoscimento di quello che la nostra voce interiore ci sta dicendo sia il rivolgere gentilezza nei confronti di noi stessi.

Bibliografia

Neff, K. (2019). Self compassion: il potere dell’essere gentili con sé stessi. Franco Angeli

Neff, K. (2015). The 5 Myths of Self-Compassion. What Keeps Us from Being Kinder to Ourselves? Psychotherapy.

Articolo a cura della dott.ssa Silvia Schiavolin

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