Quando ci vergogniamo l’impulso è a nasconderci, renderci invisibili, scomparire.
Non stupisce che proprio la vergogna sia una delle emozioni più difficili da affrontare e condividere. Persino all’interno del contesto terapeutico non è così semplice parlare di vissuti legati a tale stato emotivo.  

Eppure la vergogna è un’emozione importante, con specifiche funzioni. 

Come mai proviamo vergogna?

Noi esseri umani siamo programmati per vivere con i nostri simili, in società. È proprio all’interno della rete sociale che emerge la funzione della vergogna.
Essa infatti viene definita anche come un’ “emozione sociale”. 

Se qualcuno vi dicesse: “Sei proprio senza vergogna!!”, lo prendereste come un complimento? Probabilmente no.
Questo modo di dire evoca immediatamente l’idea di una persona che si comporta con modalità non coerenti con le regole e gli standard sociali propri della cultura di riferimento, insomma una persona priva di coscienza sociale. 

La vergogna è un’emozione che tutti proviamo e che ci aiuta a interiorizzare cosa è considerato accettabile e cosa no nel nostro gruppo di appartenenza, imparando anche il giusto equilibrio tra vicinanza e distanza nelle varie relazioni.
Ad esempio: provare vergogna se mi presento vestito in modo inadeguato ad una riunione di lavoro in cui è previsto un abbigliamento formale, fa sì che io tenda ad adeguarmi al contesto, evitando così l’esclusione. 

Possiamo dire che la vergogna è parte integrante dell’esperienza di ciascuno di noi e che, se sperimentata a piccole dosi e in modo limitato nel tempo, assolve ad alcuni scopi utili:

  • Favorisce un comportamento adeguato rispetto al gruppo, massimizzando la possibilità di appartenervi 
  • Sostiene lo sviluppo del senso di moralità e della coscienza sociale 

Eppure ci sono delle situazioni in cui essa perde la sua funzione e diviene fonte di profonda sofferenza. 

La vergogna cronica

“Nessuno mi vorrebbe se si sapesse chi sono realmente”

Quando parliamo di vergogna cronica ci riferiamo al sentimento pervasivo di essere difettosi, sbagliati, profondamente inadeguati, immeritevoli di affetto ed amore, cattivi.
La vergogna cronica porta a disprezzare se stessi, la propria esistenza. 

Quando ci sentiamo in questo modo l’ultimo desiderio è quello di essere visti dall’altro. La vergogna, infatti, ci porta anche a disconnetterci, a non volerci mostrare ed esporre all’interno delle relazioni. 

Per quale motivo?

Abbiamo detto che la vergogna è un’emozione sociale  (o relazionale), quando si prova vergogna si sta considerando la prospettiva da cui ci vedrà l’altro. 

Facciamo un esempio:

Se dovessi mettere i roller ai piedi dopo tanto tempo, è probabile che inizialmente sarei molto impacciata, i miei movimenti sarebbero poco fluidi. Poniamo il caso che, esercitandomi in un parco con molta gente, per schivare maldestramente qualcuno, io perda l’equilibrio e cada. Tra i tanti pensieri che potrei avere, potrebbe anche far capolino qualcuno del tipo: 

“Chissà in quanti mi hanno visto!?!”
“Cosa penseranno? Diranno che sono un incapace e che farei meglio andare a piedi”
“Che figuraccia, sono maledettamente goffo!”

Ecco come nella mia testa prende forma il punto di vista dell’altro, di un altro che non è necessariamente reale. Quello che la mia mente crea è una rappresentazione interna di come un’altra persona potrebbe giudicarmi. 

La vergogna cronica ci fa sentire costantemente sotto lo sguardo severo di qualcuno, sotto continuo giudizio. In realtà è la nostra stessa mente a farci sentire in quel modo, poiché si parte dalla convinzione che gli altri ci considereranno spregevoli, dei buoni a nulla, incompetenti, fuori luogo. 

Implicazioni corporee e fisiologiche della vergogna

Quando ci sentiamo così l’ultima cosa che vogliamo è mostrarci agli altri, nella nostra vulnerabilità. Per questo motivo quando ci vergogniamo tendiamo a “farci piccoli piccoli”, l’impulso è quello di scomparire. Ciò si riflette anche nelle manifestazioni fisiche della vergogna: testa reclinata in avanti, sguardo basso, curvatura delle spalle (come a ripiegarsi su se stessi), rossore in viso. Possiamo arrivare a sperimentare una sensazione di crollo o paralisi, riconducibile all’attivazione del sistema dorso-vagale (Porges, 2018). Ci sconnettiamo in parte dall’esperienza, la postura vira verso il collasso, rimanere lucidi e pensare diviene più difficile. 

Dinamiche intrapsichiche della vergogna 

Quando ci vergogniamo, come sottolinea Kathy Steele (2014), non vi è solo una parte che si sente profondamente sbagliata, ma vi è anche una parte di noi che ci induce a provare vergogna, che potremmo definire “il critico interiore”. 

Il critico interiore affonda le sue radici nella rappresentazione dell’altro come giudicante e critico. Questa convinzione spinge, a livello interpersonale, a non volersi mostrare per quello che si è per il timore di essere umiliati, feriti, abbandonati. 

Le strategie per evitare la vergogna

Al fine di proteggerci da fallimenti, critiche, umiliazioni e rotture relazionali, chi soffre di vergogna cronica ricorre ad alcuni copioni atti ad evitare tale emozione e il dolore da essa causato. Tali strategie si rivelano però disfunzionali, andando a limitare e influenzare la vita quotidiana, rendendo meno liberi di esplorare, vivere, realizzarsi. 

In particolare, due strategie sono classificabili sotto la macro-categoria dell’attacco, altre due sotto la macro-categoria dell’evitamento (Boon, Steele & Van der Hart, 2013). 

Vediamole nel dettaglio:

  1. ATTACCO 
  • Attaccare se stessi. Parliamo qui del critico interiore, di cui sopra. È l’estremo tentativo di migliorarsi o prevenire la critica, così che il vissuto di vergogna sia meno intenso. 
  • Attaccare gli altri. “Io so cosa sto facendo, quanto valgo, siete voi che non capite”. Con questa reazione si cerca di proiettare il senso di difettosità e la colpa verso l’esterno, per non sentirsi profondamente sbagliati e indegni.
  1. EVITAMENTO 
  • Isolarsi dagli altri. Evitare le relazioni e le occasioni sociali al fine di non venir umiliati o feriti. In alcuni casi, le persone non si ritirano del tutto dalla vita sociale, ma si creano una maschera, evitando così di mostrare il vero sé agli altri. 
  • Evitare l’esperienza interna. Evitare di prendere contatto con la propria esperienza interna, con pensieri o sentimenti che potrebbero generare vergogna. È possibile ricorrere ad attività distraenti, cambiare discorso, minimizzare o negare l’esperienza della vergogna. 

Affrontare la vergogna cronica

L’obiettivo in terapia non è quello di liberarsi dell’emozione di vergogna che, come abbiamo detto, è fondamentale per la nostra vita in società; bensì quello di comprendere le origini di tale vissuto, rendendolo meno pervasivo e totalizzante.  

In terapia, si esplora insieme il mondo interiore della persona, procedendo con cautela e secondo i ritmi personali, al fine di sviluppare maggiore consapevolezza di sé e compassione verso i propri vissuti. 

Un passo importante è quello dell’accettazione di sé: è fondamentale poter pensare a sé come ad un essere umano competente e adeguato, il che non significa dover essere SEMPRE competenti, praticamente perfetti. 

Nel corso del percorso, si mira inoltre ad allenare la capacità di mentalizzazione, così che si possa avere una rappresentazione più accurata e completa dell’altro e della sua prospettiva. Questo permette, man mano, una migliore connessione con gli altri, basata su fiducia e vicinanza. 

BIBLIOGRAFIA E FONTI 

Katy Steele (2014). Una malattia dell’anima: Comprendere e trattare la vergogna cronica. Congresso “Attaccamento e Trauma: Relazioni e compassione” – ROMA. Istituto di Scienze Cognitive

Boon, S,; Steele, K.; Van Der Hart, O. (2013). La dissociazione traumatica comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis Edizioni

Porges, S.W. (2018).La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Roma: Giovanni Fiorentini Editore

 

Articolo scrittoi dalla dott.ssa Verdiana Valagussa psicologa e psicoterapeuta riceve a saronno presso il centro di psicologia interapia

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