Gaslighting: che cos’è?

Con il termine gaslighting si fa riferimento a una forma di abuso e di manipolazione psicologica agita nei confronti di una persona, al fine di farla dubitare di sé, della sua percezione della realtà e dei suoi pensieri.

Il termine gaslighting trae origine dal film “Gas Light” di George Cukor, in cui viene raccontata la storia di Paula (Ingrid Bergman) e del marito Gregory (Charles Boyer), che si prodiga a farle credere di essere pazza, prendendo possesso di alcuni gioielli di famiglia senza che lei se ne accorga, utilizzando come strategia quella di alterare le luci della lampada a gas della casa in cui vivono.

Nel momento in cui la moglie si accorge del calo di intensità della luce, il marito le fa credere che tutto dipenda della sua immaginazione, portandola a dubitare di se stessa, dei suoi giudizi di realtà, e spingendola a credere di stare impazzendo. 

Violenza psicologica e gaslighting

Il gaslighting è considerato una forma di violenza psicologica, non basata su agiti impulsivi o rabbia espressa, ma che rappresenta piuttosto una forma di violenza insidiosa, subdola e nascosta, caratterizzata da asserzioni e constatazioni false messe in atto dall’abusatore, e presentate alla vittima come verità, con lo scopo di porla in una posizione di dipendenza psicologica e fisica.

La violenza psicologica, in questo caso, viene messa in atto dall’abusatore con la finalità di ledere l’autonomia, la capacità decisionale e di valutazione della vittima, al fine di assumerne il pieno controllo. 

Gaslighting: come riconoscerlo

Il gaslighter si avvale di strategie e comportamenti di manipolazione per controllare e sottomettere la vittima:

  • Svalutazione: per manipolare la vittima, il gaslighter utilizza inizialmente una sottile ironia, per poi passare a criticare e screditare apertamente l’altro, minandone l’autostima; insinua dubbi sulla moralità, sull’intelligenza e sull’onestà dell’altro, andando a colpire i punti di riferimento affettivi della vittima, per condurla progressivamente all’isolamento;
  • Condizionamento: il gaslighter utilizza il rinforzo positivo (es. parole d’affetto, elogi, cenni di stima) ogni qual volta la vittima appaia sul punto di crollare o quando asseconda le sue richieste;
  • Negazione: il manipolatore può negare la realtà, affermando come la vittima abbia una cattiva memoria, o come ciò che dice sia frutto della sua immaginazione;
  • Dirottamento: il gaslighter attacca la vittima quando si sente messo alle strette, spostando il focus dell’attenzione su argomenti differenti rispetto al punto iniziale della discussione, mettendo così la vittima nella posizione di difendersi da nuove accuse. Paradossalmente, in questo modo, la vittima finisce giustificandosi per qualcosa che non ha commesso;
  • Silenzio manipolatorio: il gaslighter utilizza come strategia preferenziale il silenzio, che consiste nel mancato riconoscimento della vittima, sulla base di richieste e pretese disattese. L’abusatore finisce con il rifiutare ogni forma di comunicazione, utilizzando tale strategia come metodo di punizione. La vittima avrà la tendenza ad assumersi tutte le colpe per aver causato la rottura della relazione, e tenderà quindi a scusarsi per il comportamento messo in atto, sottomettendosi ancora una volta al suo carnefice.

Personalità del gaslighter

Come abbiamo già visto, il gaslighting si caratterizza come comportamento manipolatorio, in cui il gaslighter cerca di controllare e alterare sensazioni, percezioni, pensieri, comportamenti ed emozioni della vittima.

Alcuni studi presenti in letteratura hanno messo in luce come gli attori coinvolti in una relazione di questo tipo tendano a presentare tratti di personalità complementari, che vanno a strutturare diversi tipi di comportamenti abusanti.

Ad esempio, il “glamour” gaslighter controlla la vittima adulandola; il gaslighter “bravo ragazzo” tenta di mantenere un’immagine positiva di se stesso, mostrando un finto interesse nei confronti dell’altro, soddisfacendo in realtà i propri bisogni narcisistici; il gaslighter “intimidatorio” appare critico e sprezzante, inducendo nella vittima sentimenti di disperazione e impotenza.

È stato inoltre messo in evidenza come il gaslighting sia associato a tratti di personalità narcisistici, antisociali e borderline, configurandosi quindi come espressione di aspetti disfunzionali della personalità.

Nello specifico, sarebbero coinvolti tre domini della personalità: il distacco, ossia la mancanza di empatia e l’incapacità di coinvolgersi in relazioni interpersonali intime, la disinibizione e la difficoltà nella gestione dell’impulsività e delle emozioni, e, infine, l’antagonismo, ossia la tendenza a criticare e screditare l’altro. 

Il gaslighter si configura come personalità manipolatoria, che, attraverso il raggiro, ha come obiettivo quello di fare compiere all’altro azioni per proprio tornaconto personale, approfittandosi della vittima a scopo egoistico. Il manipolatore non prova senso di colpa per quello che fa, poiché l’obiettivo è quello di soddisfare il proprio ego e accrescere la propria autostima. 

Tipi di gaslighting

Il gaslighting è sempre più presente e utilizzato per descrivere strategie di manipolazione mentale in diverse tipologie di relazioni interpersonali. Tra queste possiamo considerare le relazioni familiari, i rapporti sul lavoro e le relazioni di coppia.

Gaslighting in famiglia

All’interno della famiglia, un esempio di gaslighting può essere riscontrato nella relazione che viene a instaurarsi tra genitore iperprotettivo o autoritario e figlio.

Il genitore gaslighter adotta una modalità relazionale basata su eccessivo senso di protezione, senso di colpa o de-responsabilizzazione, che può ostacolare lo sviluppo della personalità del figlio.

In questi casi, si creano dinamiche relazionali in cui il figlio vive subordinato al genitore, sulla base di paura o senso di colpa.

L’insinuazione della colpa è, infatti, uno dei principali strumenti che utilizza il genitore gaslighter per aumentare il controllo sul figlio.

Ad esempio, il figlio può essere vittima di gaslighting quando gli viene attribuita la colpa della fine della relazione genitoriale, oppure quando il genitore sottovaluta le sue abilità o denigra i suoi interessi.

Sulla base di questo, i figli di genitori gaslighter potrebbero sviluppare una scarsa fiducia verso se stessi e i propri giudizi, un certo grado di insicurezza e una bassa autostima.

Gaslighting sul lavoro

Il gaslighting può essere presente anche all’interno di una relazione lavorativa. In questo caso, l’abusatore può essere un collega alla pari oppure un superiore, per titoli o responsabilità. L’obiettivo del gaslighter rimane sempre quello di destabilizzare le sicurezze della vittima, di sottometterla e impedirle di esprimere le proprie idee lavorative, facendo sì che diventi “dipendente” dal suo carnefice.

Un esempio concreto potrebbe essere quello di un dipendente che, durante una riunione di lavoro, cerca di proporre un tema per lui importante, ma viene subito liquidato dal capo (“di questo ne abbiamo già parlato, andiamo avanti con il resto”). Questo genererà in lui un senso di confusione e di incertezza che, come abbiamo già visto, sono tipici del fenomeno descritto.

Gaslighting nella coppia

Il gaslighting, infine, può essere riscontrato all’interno della relazione di coppia, dove i ruoli di vittima e di carnefice possono essere assunti dalla donna o dall’uomo. Un esempio può essere quello in cui il partner, coinvolto in una relazione extraconiugale, fa riferimento a stereotipi di genere per distogliere l’attenzione da ciò che compie, e per controllare l’altro, portandolo a dubitare delle sue percezioni.

Il gaslighter mira a mettere in discussione, fino a distruggerle, le sicurezze del partner, e lo fa ricorrendo a determinate frasi come “Sbagli sempre tutto, non ne combini mai una giusta”, “Come fai a non ricordartelo, me lo hai detto tu!”.

Abbiamo a che fare con messaggi di svalutazione che tendono a ferire a livello emotivo, a far dubitare il partner di se stesso, o a umiliarlo pubblicamente.

Gaslighting: come uscirne

All’inizio della relazione, indipendentemente dalla tipologia, la vittima di Gaslighting si sente rinforzata ed apprezzata dai complimenti ricevuti dal suo abusatore, che è in grado di prevedere quelle che possono essere le reazioni della vittima stessa, attraverso ragionamenti subdoli e manipolatori.

Successivamente, dopo un periodo che si potrebbe definire “idilliaco”, si concretizza una fase che si caratterizza per la distorsione della comunicazione.

A questo punto della relazione la vittima non è più in grado di comprendere e capire il suo abusatore, tanto che le conversazioni sono contraddistinte dall’alternanza di silenzi e commenti piccati e destabilizzanti.

Disorientamento mentale

La vittima si trova così a vivere uno stato di disorientamento mentale e di confusione, che la porta a mettere in atto un comportamento volto a difendersi, tentando di confrontarsi e convincere il suo carnefice che ciò che dice è discrepante rispetto alla realtà, nella speranza che, attraverso l’ascolto e il dialogo, il comportamento del gaslighter possa cambiare.

Infine, la vittima, persuadendosi del fatto che l’abusatore dice la verità, va incontro a uno stato mentale depressivo e di rassegnazione, diventando insicura, vulnerabile e dipendente.

A questo stadio della relazione, la vittima può anche convincersi della ragione del suo manipolatore, mettendo inoltre in atto un processo di idealizzazione nei suoi confronti.

Chiunque si trovi a vivere una relazione di questo tipo potrebbe avere difficoltà ad accorgersi di essere vittima di gaslighting.

Campanelli di allarme

Tuttavia, è possibile riconoscere alcuni campanelli d’allarme che possono aiutare la vittima ad uscire da questo tipo di relazionale: in primis, il fatto di dare sempre ragione all’altro e di essere sempre d’accordo con lui; in secondo luogo, la tendenza ad assumere una posizione passiva e di rinunica rispetto all’espressione del proprio punto di vista, anche in presenza di dubbi oggettivi, legata alla percezione di insicurezza e inadeguatezza generata dal gaslighter.

Articolo a cura della dott.ssa Michela Pagani psicologa presso il centro di psicologia Interapia

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