L’affido, ovvero la collocazione di un minore presso una famiglia affidataria, diversa da quella d’origine, si configura come una delle possibilità a tutela dei diritti dell’infanzia e a garanzia di un ambiente adeguato ai bisogni del minore nel momento in cui si riscontra una situazione di mancanza di questi aspetti.

Analogo all’adozione, si differenzia da quest’ultima per la presenza di un provvedimento temporaneo di accompagnamento e supporto del minore e della famiglia d’origine, con l’obiettivo di permettere a quest’ultima di recuperare le risorse personali o materiali che consentono al figlio di rientrare in casa.

Lo scopo dell’affido è quello di supportare bambini e ragazzi che si trovano in una situazione di instabilità familiare, che potrebbe inficiare lo sviluppo e la realizzazione della propria personalità e identità.

Cos’è l’affido o affidamento familiare

In Italia, la Legge n. 184 del 1983, intitolata Diritto del minore a una famiglia, disciplina l’istituto dell’affidamento familiare, il quale ha lo scopo di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, che ostacolino il diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine, la legge dispone, in favore della famiglia di origine, interventi di sostegno e di aiuto.

L’affido, quindi, è un intervento di durata stabilita mirato a tutelare il minore nel caso in cui la famiglia d’origine non sia più in grado di adempiere la funzione genitoriale. Tale progetto è rivolto sia a bambini sia a ragazzi fino ai 18 anni di età.

Le circostanze che possono condurre a tale evenienza, privando il minore di un ambiente idoneo in cui poter crescere, possono riguardare direttamente la persona del genitore (ad esempio nel caso di malattie, diagnosi gravi e invalidanti, carenze comportamentali/educative pericolose) o situazioni di indigenza socioeconomica.

In questi casi il minore può essere affidato ad un’altra famiglia, o ad una comunità di tipo familiare, con lo scopo di potergli garantire il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.

Il periodo di affido può poi esitare nel rientro del minore all’interno del nucleo familiare d’origine o, se i genitori vengono dichiarati definitivamente non più in grado di adempiere la funzione genitoriale, nella dichiarazione dello stato di adottabilità.

L’istituto è stato anche recentemente riformato dalla Legge n. 173 del 2015, riconoscendo e ponendo maggiore enfasi sull’importanza del diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare, se ciò corrisponde all’interesse del minore. Infatti, un altro aspetto, che viene riconosciuto e tutelato grazie a tale legge, è il diritto del minore di essere ascoltato in merito alle decisioni che riguardano la sua vita.

Il processo di affido

L’affido può essere consensuale, laddove condiviso e approvato dai genitori, o giudiziale, se disposto dall’Autorità Giudiziaria.

Nella maggior parte dei casi è il Servizio sociale a segnalare il nucleo familiare in difficoltà e a disporre l’affidamento del minore. In questo caso occorre il previo consenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore. Qualora tale consenso non venga prestato, subentra il Tribunale per i Minori e viene applicata la normativa vigente.

Nei provvedimenti di affido viene indicata la durata presumibile dello stesso, che deve essere allineata con gli interventi volti al recupero della famiglia di origine e che non può superare la durata di due anni, che però è comunque prorogabile dal Tribunale per i Minori nel caso in cui l’interruzione costituisca un pregiudizio al minore.

Per quanto si senta parlare più comunemente di affido totale, il procedimento può essere anche a tempo parziale: il minore trascorre con la famiglia affidataria, svolgente funzione di sostegno ad una famiglia in difficoltà, solo una parte della giornata o della settimana, per poi fare rientro presso il nucleo d’origine.

Inoltre, l’affido non per forza deve essere etero-familiare, ma può essere nominato affidatario anche un nucleo familiare con legami di parentela, entro il quarto grado, con la famiglia d’origine. In quest’ultimo caso non sono previsti limiti di durata.

L’idoneità degli affidatari viene stabilità tramite un percorso di diversi colloqui e, una volta nominati, oltre ad avere il diritto di ricevere sostegno educativo e psicologico da parte del servizio sociale locale, esercitano i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con l’istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. Inoltre, uno degli oneri della famiglia affidataria è quello di mantenere saldo il rapporto con la famiglia d’origine del minore.

Per quanto riguarda la famiglia d’origine, invece, è importante che da un lato mantenga rapporti validi e sentiti con il figlio e che dall’altro rispetti il programma stabilito dal Servizio Sociale, per poter favorire il più possibile la normalizzazione di tutto l’iter.
In altri termini, si cerca sempre e in tutti i modi di preservare la possibilità del minore di incontrare e mantenere i rapporti con i propri genitori, secondo tempi e modalità favorevoli per entrambi.

Sia l’inserimento in famiglia affidataria sia il rientro nella propria famiglia d’origine sono effettuati con passaggi graduali che consentano al minore di affrontare senza troppo disagio il distacco e l’avvicinamento ai due nuclei familiari.

L’ingresso nella famiglia affidataria: tra perdita e nuove sfide

Quando il minore entra in una famiglia affidataria, si trova a dover affrontare una situazione estremamente complessa ed emotivamente impegnativa. Una delle difficoltà maggiori consiste nel dover affrontare il lutto della perdita delle proprie figure di attaccamento che, per quanto potessero essere disfunzionali, rimangono e sempre rimarranno i genitori biologici del minore. Da un lato, quindi, dovrà elaborare il fatto che chi l’ha messo al mondo, per motivi vari ed eventuali, si è trovato a non riuscire più a crescerlo ed accudirlo in un modo tutelante; dall’altro però dovrà anche accettare il fatto che nuove figure adulte, sconosciute in caso di affido etero-familiare, si prenderanno cura di lui, dovendo di

conseguenza riorganizzare il sistema di attaccamento per accogliere anche tali nuove persone.

Il minore, quindi, si trova a dover esperire forti sentimenti di perdita su più fronti: da un lato viene fisicamente separato dal proprio contesto d’origine e appartenenza, sperimentando la perdita delle proprie abitudini, del proprio ambiente sociale e relazionale, dei propri punti di riferimento; dall’altro sperimenta anche la perdita e la disillusione della possibilità di essere curato e di ricevere soddisfacimento ai propri bisogni da parte dei genitori biologici. Vissuti di tale portata permeano e accompagnano tutto il percorso di affido.

È questo uno dei motivi per i quali la famiglia affidataria dovrebbe essere sufficientemente solida e stabile, nonché accogliente e tollerante, per poter accogliere un minore con vissuti abbandonici molto forti che, nella maggior parte dei casi, si concretizzano in comportamenti ostili e carichi di rabbia e risentimento.

Infatti, come già diceva Bowlby nel 1973, nel momento in cui un minore, specie se bambino, si trova a sperimentare sentimenti di perdita soverchianti, non può esplorare cognitivamente ed emotivamente il nuovo contesto in cui viene accolto. Detto in altri termini, nel momento in cui è attivo il sistema dell’attaccamento, nessun altro altro sistema, men che meno quello esplorativo, può attivarsi.

Naturali reazioni alla separazione e al distacco sono la negazione, protesta, disperazione, finanche lo shock. Ciò che la famiglia affidataria è chiamata a fare, in queste fasi iniziali, è riuscire ad accogliere e contestualizzare, sintonizzandosi col minore, tali reazioni, rispecchiando i vissuti di rabbia e tristezza senza colpevolizzare sé o il minore perché non va tutto in modo sereno. Solo grazie a questa attitudine genitoriale, il minore lentamente riuscirà ad esplorare e, finalmente, accettare il nuovo contesto, cogliendo e accogliendo le nuove opportunità di cura e crescita.

In quest’ottica, uno dei rischi che corre la famiglia affidataria è quello di non riuscire ad interpretare correttamente il comportamento ostile del minore, finendo con il ritenere lui cattivo o con il pensarsi incapaci nel proprio compito. Questo accade quando si dà per scontato che il minore, soprattutto se preparato al cambiamento e/o favorevole ad esso, sappia che la nuova situazione è migliore per lui e che quindi dovrebbe solo esserne felice. Per poter prendere consapevolezza di ciò, però, il minore deve prima essere aiutato ad andare oltre il lutto della separazione e a riformulare tale vicenda potenzialmente traumatica effettivamente come una possibilità da cogliere e far fruttare. Inoltre, specie per affidi di bambini piccoli, è anche difficile tenere a mente che la situazione di affido sarà solo temporanea.

Un’altra sfida per il minore riguarda l’instaurarsi di un vero e proprio conflitto di lealtà tra la famiglia d’origine e quella affidataria. Nel momento in cui il minore si permette di vivere le nuove proposte di attività, riti quotidiani e stili affettivi della nuova famiglia, inevitabilmente si crea un confronto e paragone, più o meno consapevole, con la vita nel contesto d’origine. Per quanto sia proprio questo confronto a permettere al minore di ripensarsi circa le modalità di vivere e relazionarsi, aprendosi così a nuovi scenari di sviluppo che altrimenti non sarebbero stati percorribili, potrebbe sopraggiungere anche un profondo e complesso timore di essere sleali, di tradire la propria famiglia d’origine.

Tale conflittualità rappresenta al tempo stesso una fatica, ma anche un’opportunità preziosa: vivendosi le emozioni e i pensieri connessi, potendo esternarli e trovando dall’altra parte un

contenimento e una significazione in senso costruttivo, il minore può integrare i due modelli, riconoscendone limiti e possibilità, sviluppando la consapevolezza di poter scegliere, senza dover necessariamente ripercorrere la strada già fatta dai propri genitori biologici che, per motivi vari, invece, non hanno avuto scelta.

Il rischio della competizione tra famiglie

Uno degli elementi fondamentali, che permette al minore di accettare un percorso di affido familiare e di trarne i maggiori benefici possibili, è l’accettazione da parte della famiglia d’origine di tale intervento e la collaborazione con la famiglia affidataria, nonché con la rete professionale che ruota loro intorno.

Può capitare, però, che le due famiglie entrino in competizione tra loro, perdendo di vista il benessere del minore e sviluppando una sorta di senso di possesso dello stesso. Sono questi i casi in cui la famiglia d’origine inizia a percepire l’affido come un’espropriazione del proprio figlio, mentre la famiglia affidataria può vivere la collaborazione con i genitori biologici come un’intrusione nella loro modalità di accudimento. Il minore si trova così costretto a decidere con chi voler stare e crescere, attanagliato da conflitti di lealtà che non possono risolversi in senso costruttivo.

Tali dinamiche possono instaurarsi soprattutto quando non vengono ben definiti da parte degli operatori sociali i ruoli e le funzioni della famiglia affidataria, che rischia così di sviluppare “illusioni di onnipotenza” (Selvini, 1988) contro la famiglia d’origine, creando conflitti e competizione. In questi casi, anche gli operatori facenti parte la rete di sostegno dovrebbero prestare grande attenzione rispetto ai propri movimenti: si rischia, infatti, di schierarsi involontariamente con una o con l’altra parte, andando così solo a sostenere un conflitto che comunque va sempre a scapito del minore.

Per far sì che il minore viva l’affido per quello che dovrebbe essere, cioè un’opportunità di aiuto e sostegno per sé e per la propria famiglia, non può e non deve sussistere una competizione strenua alla ricerca di chi sia il “buono” e chi il “cattivo”, e, per ovviare a questo, occorre creare una rete tra i vari servizi presenti sul territorio, coordinando il più possibile il lavoro di tutte le figure coinvolte, ascoltando le fatiche emotive e relazionali del minore e aiutandolo a dare significato alla situazione che sta affrontando, ma anche sostenendo e formando la famiglia affidataria e aiutando la famiglia d’origine a comprendere e risolvere i propri problemi.

In altri termini, se, per quanto riguarda il minore, le implicazioni psicologiche, legate soprattutto a temi di attaccamento e separazione, sono forse più facilmente immaginabili e percettibili, occorre prestare grande attenzione anche a tutti i sentimenti di inadeguatezza, colpa, depressione e incapacità che possono permeare la famiglia d’origine, nonché i desideri di maternità e paternità insiti nella famiglia affidataria, siano essi già realizzati oppure delusi.

Valorizzare la famiglia d’origine

Se una società si interessa dei propri bambini, deve prendersi cura anche dei loro genitori (Bowlby).

La legge sottolinea come, tra i doveri della famiglia affidataria, ci sia anche quello di mantenere i rapporti con la famiglia d’origine del minore a loro affidato. Per quanto la regolazione dei rapporti venga in genere stabilita dal Servizio Sociale, è bene che gli affidatari riescano sempre a tenere a mente che il minore non è diventato “loro”, ma che mantiene una famiglia, che lo riaccoglierà alla conclusione del progetto. In questo modo, la famiglia affidataria può aiutare il minore a riconoscere e valorizzare ciò che di buono c’è nei propri genitori, anche quando apparentemente celato sotto difficoltà ed errori.

Il sostegno alla famiglia d’origine, infatti, rappresenta un punto cardine fondamentale per la buona riuscita di un progetto d’affido. Solo grazie al sostegno e al recupero della famiglia d’origine è possibile raggiungere l’obiettivo desiderato di rientro del minore presso la propria casa.

Anche quando il rapporto della famiglia d’origine con il minore è carente o inadeguato, rimane comunque di fondamentale importanza, poiché rappresenta il punto di partenza alla base di tutto il sistema di attaccamento del minore, nonché della costruzione di schemi mentali e cognitivi di sé, del mondo e di sé in relazione con il mondo.

In altri termini, è dalle prime esperienze con le proprie figure di attaccamento che il minore inizia a costruire le lenti con cui vede, interpreta e vive il mondo e, per quanto siano poi suscettibili di cambiamenti grazie ad esperienze correttive successive, la base da cui originano inizialmente non può essere ignorata o “tagliata fuori” perché inadeguata.

Per quanto la tutela del minore non possa prescindere dalla tutela del legame con la famiglia d’origine, il Servizio di competenza ha anche il ruolo di valutare che tale legame sia, o diventi, il più possibile positivo e costruttivo per il minore. Oltre a ciò, spetta al Servizio anche il monitoraggio del processo evolutivo della famiglia d’origine per poter valutare e regolare i rapporti tra la famiglia d’origine e il minore.

Conclusioni

L’affido è un processo molto delicato in cui bisogna necessariamente tener presente i vissuti e le dinamiche emozionali estremamente complesse che riguardano il minore, la famiglia d’origine e la famiglia affidataria. In questo senso è fondamentale supportare e sostenere tutti i soggetti coinvolti attraverso il ricorso a figure professionali quali psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti ed educatori al fine di garantire il buon esito del progetto.

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Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi Psicologa presso la sede di Legnano del centro interapia

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