In questi ultimi anni sensazioni di paura e ansia hanno accomunato molti di noi. Secondo un documento scientifico pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel primo anno della pandemia di Covid-19 la prevalenza globale di ansia e depressione è aumentata del 25%. L’ansia è in generale un’esperienza nota alla maggior parte delle persone ma che assume delle caratteristiche soggettive: quello che può essere preoccupante per una persona non lo è per un’altra e viceversa. La parola ansia deriva dal latino anxietas che a sua volta deriva dal greco angh ed era usata per riferirsi a sensazioni fisiche di tensione, costrizione o disagio.

Cos’è l’ansia

L’ansia è uno stato di tensione fisica e psicologica che si verifica, secondo LeDoux (2016),  in 4 possibili scenari:

  • In presenza di una minaccia esterna esistente o imminente che può compromettere lo stato di benessere fisico/psicologico,
  • In presenza di sensazioni corporee di cui ci si preoccupa perchè  che potrebbero determinare una compromissione dello stato di benessere fisico/psicologico,
  • In risposta a pensieri e ricordi che possono destare preoccupazione in relazione allo stato di benessere fisico/psicologico,
  • Pensieri e ricordi possono provocare una paura esistenziale come preoccuparsi di condurre una vita soddisfacente o il pensiero della morte.

 

E’ un’esperienza simile alla paura ma in quest’ultima quello che si teme è una minaccia esterna, un evento presente o in procinto di verificarsi mentre nell’ansia la minaccia è meno verificabile: è qualcosa di più interno, un’aspettativa mentale. Nella realtà dei fatti ansia e paura si presentano spesso contemporaneamente. Un aspetto che le collega è che entrambe dipendono da meccanismi cerebrali che rilevano le minacce. Il rilevamento delle minacce è finalizzato alla risposta di attacco-fuga ovvero la risposta difensiva di emergenza attivata quando incontriamo delle minacce presenti e future. Questa reazione, che coinvolge tutto il corpo, ci aiuta a sopravvivere di fronte ad un pericolo. L’elaborazione delle minacce è centrale nelle esperienze di paura ed ansia.

Ansia e paura sono quindi esperienze normali che proviamo quando ci sentiamo esposti a delle minacce, tuttavia talvolta hanno un’intensità, una durata e una frequenza che le rendono disadattive ossia diventano un ostacolo al normale svolgimento della vita quotidiana: in questo caso parliamo di disturbo d’ansia.

Lo studio di testi di letteratura e religiosi hanno messo in evidenza che l’uomo ha sempre conosciuto lo stato mentale che oggi definiamo ansia ma fino ai primi del 1900 la parola angoscia non era associata a qualcosa di psicopatologico. Questo cambiamento avviene con Freud che fece dell’angoscia patologica un aspetto cardine della sua teoria psicoanalitica dei disturbi mentali.

Attualmente si è fatta molta strada da questo punto di vista ed il DSM 5(Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) 5 fa rientrare nella categoria disturbi d’ansia i seguenti disturbi:

 

L’ansia patologica

l'ansia un fenomeno se pre più comune

Il sistema di elaborazione della minaccia è alterato in tutti i disturbi di paura ed ansia.

Le persone che ne soffrono sono ipersensibili alle minacce che attirano e catturano la loro attenzione, una condizione chiamata ipervigilanza. In queste persone è alterata la capacità di distinguere tra cose pericolose e cose sicure e sovrastimano l’importanza delle minacce percepite.

Si preoccupano eccessivamente delle minacce anche quando non ci sono pensando che potrebbero comparire. Per sfuggire alle minacce possono arrivare al punto che la strategia di evitamento compromette seriamente la qualità di vita.

E’ noto a tutti che ci sono persone che sono più ansiose di altre. Tali differenze individuali possono avere una componente genetica, l’ansia sembra infatti una caratteristica stabile dell’individuo. Questo non significa che esiste un gene dell’ansia, i disturbi psichiatrici non si trasmettono secondo le leggi mendeliane ma con meccanismi più complessi che coinvolgono più geni che per produrre i loro effetti interagiscono con fattori ambientali.

 

Cosa succede nel nostro cervello quando proviamo ansia

Secondo Joseph LeDoux, un importante ricercatore che si è occupato di studiare le basi biologiche delle emozioni,  in particolare di ansia e paura, le emozioni sono sempre esperienze coscienti.

Egli sostiene che l’esperienza emotiva, così come noi la sentiamo, di ansia e paura la percepiamo quando diventiamo consapevoli che il nostro sistema di rilevazione delle minacce ha rilevato un pericolo. In che modo? Si parte da uno stimolo esterno , rilevato dai sensi e che viene classificato, in maniera non conscia, come una minaccia. I sistemi di rilevamento della minaccia portano quindi ad una sovraeccitazione del cervello a cui conseguono cambiamenti nelle risposte comportamentali e fisiologiche del corpo.

Possiamo quindi cominciare a tremare, sudare, avere palpitazioni, sentire un aumento della frequenza cardiaca, tensione muscolare etc..Questi cambiamenti sono collegati all’attività del sistema nervoso autonomo. I segnali provenienti dal corpo sono inviati al cervello dove diventano parte della risposta non conscia al pericolo.

La minaccia aumenta la vigilanza: l’ambiente viene monitorato per capire perchè vi è questo stato di sovraeccitamento. L’attività cerebrale collegata agli altri sitemi motivazionali (mangiare, bere, sesso, denaro, etc) viene soppressa. Se, grazie alla memoria, il sistema rileva minacce “conosciute” l’attenzione si focalizza sugli stimoli responsabili dello stato di eccitamento. La memoria ci consente di sapere che paura è il modo di classificare questo tipo di esperienze.

Quando i diversi fattori sono integrati nella coscienza si ha un’ emozione in questo caso la paura. Se i processi cognitivi non vengono coinvolti le risposte del cervello e del corpo sono in grado di dirigere il comportamento al fine di garantire la sopravvivenza. L’emozione di paura, anche se non fa parte del processo, una volta attivata mette in campo risorse del cervello conscio comunque utili alla sopravvivenza.

Il sistema di rilevazione delle minacce, che LeDoux chiama sistema difensivo di sopravvivenza, è legato all’attività dell’amigdala, dello striato ventrale, dell’ippocampo e di varie zone della corteccia prefrontale. Queste strutture non sono invece responsabili dell’emozione conscia della paura. L’emozione della paura è per LeDoux è un’interpretazione cognitiva che nella maggior parte dei casi è la conseguenza dell’attivazione del circuito di sopravvivenza. Sento che ho paura perché la mia coscienza si accorge che c’è un cambiamento nello stato di attivazione del corpo, ha notato uno stimolo e lo ha associato a dei ricordi in cui quello stimolo era stato classificato come minaccioso.

Secondo le ricerche di LeDoux la paura e l’ansia fuori controllo sono legate alla disregolazione dei circuiti tra corteccia prefrontale ventromesiale ed amigdala. L’amigdala è definito l’ acceleratore di  risposte difensive e la corteccia prefrontale il freno. Questo meccanismo  spesso è compromesso nelle persone che soffrono d’ansia.

Implicazioni del disturbo d’ansia

Il modello proposto da Ledoux ha delle interessanti implicazioni riguardo il trattamento dell’ansia sia a livello farmacologico che a livello di trattamenti psicologici. Per approfondire l’aspetto della farmacologia si consiglia la lettura del libro “Ansia Come il cervello ci aiuta a capirla”. Secondo LeDoux le terapie comportamentali e cognitivo comportamentali basate sul concetto di esposizione dipendono dai circuiti cerebrali implicati nell’ansia ( in particolare l’estinzione ovvero il processo su cui è modellata l’esposizione) e per questo motivo sono molto efficaci. 

E’ interessante notare che spesso in terapia ci troviamo davanti a persone  che non riescono a collegare le sensazioni di cambiamento fisico all’aspetto emotivo, in questi casi essi tendono ad associare le  sensazioni fisiche ad un disturbo fisico piuttosto che ad un aspetto della risposta emotiva. Pensando al modello a due vie di LeDoux è possibile ipotizzare che in queste persone vi sia una difficoltà nell’integrare i cambiamenti fisici legati all’attivazione di strutture sottocorticali con elementi di memoria e cognitivi. Questo lavoro di integrazione viene spesso fatto in terapia e si chiama psicoeducazione emotiva.

Bibliografia relativo all’articolo

Joseph LeDoux 2016. Ansia come il cervello ci aiuta a capirla. Raffaello Cortina Editore.

Articolo scritto dalla dott.ssa Alice Mazza psicologa e psicoterapeuta. Riceve a Monza

 

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