Ci sono persone che, nel momento in cui osservano anche solo immagini di oggetti contenti pattern ripetitivi di buchi o disegni geometrici, come una spugna, un formaggio svizzero o un alveare, provano immediatamente emozioni spiacevoli quali disgusto e repulsione.

Nel 2013 i ricercatori Cole e Wilkins si interessano a questo fenomeno, un vero e proprio disturbo psicologico, che prende il nome di tripofobia e che, grazie a loro, inizia ad essere studiato ed approfondito all’interno della comunità scientifica.

Cos’è la tripofobia: definizione e descrizione

La tripofobia è letteralmente la paura dei buchi, ovvero il timore o la repulsione derivanti dalla vista di pattern costituiti da piccole figure geometriche ravvicinate. In questo senso, sono soprattutto i buchi ad innescare emozioni di paura, che però può anche essere scatenata da altre particolari forme geometriche ripetute in modo sistematico, come cerchi convessi, puntini ravvicinati o gli esagoni di un alveare.

Il termine sembra essere stato coniato nel 2005 all’interno di un forum online ed è costituito dall’unione nella parola greca “trýpa“, che significa “buco” o “perforazione” e “phóbos“, cioè “paura”. L’idea diviene in breve tempo virale e iniziano a nascere gruppi Facebook, siti internet e video su YouTube inerenti il tema. All’interno della comunità scientifica, invece, le prime descrizioni del disturbo risalgono al 2013.

Tripofobia: alcuni esempi di paure

Chi soffre di tripofobia, quindi, prova timore o non tollera la vista di aggregati di oggetti, naturali o artificiali che siano, in grado di creare pattern con buchi, che, di solito, sono molto vicini tra loro e conferiscono la sensazione di una certa profondità. Ciò che viene temuto è spesso un oggetto ordinario, che potenzialmente può essere visto molto di frequente nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, come spesso è anche possibile trovare in rete, ciò che genera reazioni repulsive può essere anche solo un’immagine di oggetti come:

  • Bolle di sapone;
  • Spugna da bagno;
  • Formaggio svizzero coi buchi;
  • Tavoletta di cioccolato di Modica;
  • Baccello di un fiore di loto;
  • Fori in un muro di mattoni;
  • Tubi impilati;
  • Coralli;
  • Follicoli piliferi;
  • Alveare;
  • Rane e rospi (in particolare il rospo del Suriname);
  • Pori della pelle;
  • Soffione della doccia;
  • Fragola;
  • Melagrana;

Attualmente, la tripofobia non è una patologia psichiatrica riconosciuta in modo ufficiale e, come tale, non compare nemmeno nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5). Inoltre, nonostante le sia stato attribuito il nome di tripofobia, questo disturbo non sembra configurarsi come una vera e propria fobia, come invece molte altre (ad es. fobia dei ragni, del sangue, ecc…) che sono caratterizzate da un’ansia eccessiva e spesso bloccante se di fronte all’oggetto fobico, con conseguente messa in atto di comportamenti di evitamento.

La tripofobia, al contrario, sembra essere, per lo meno in prima battuta, maggiormente legata all’emozione del disgusto, a tal punto che una delle reazioni possibili, di fronte ad immagini ritraenti pattern di buchi, è un vero e proprio senso di nausea.

Esempi di tripofobia

Esempi di tripofobia

I sintomi della tripofobia

Nella tripofobia, l’esposizione allo stimolo fobico suscita forte disagio, ansia o disgusto, fino a provocare panico, nausea e brividi; questa sensazione può essere enfatizzata quando dai buchi fuoriesce qualcosa (come, ad esempio, un seme o un insetto). Per quanto i sintomi e la gravità differiscano da persona a persona, in generale l’avversione verso fori ravvicinati è in grado anche di provocare forti reazioni fisiologiche, quali, ad esempio:

  • Brividi e pelle d’oca;
  • Sudore freddo;
  • Palpitazioni;
  • Formicolio e prurito;
  • Disturbi visivi, come affaticamento degli occhi, distorsioni o illusioni ottiche;
  • Mal di testa;
  • Nausea e/o vomito;
  • Senso di svenimento o vertigini;
  • Respirazione affannosa;
  • Sensazione di “testa vuota”;
  • Bocca secca;
  • Tremori;
  • Pianto;
  • Intorpidimento.

Quando si attivano i sintomi?

I sintomi si attivano quando una persona vede un oggetto, o un’immagine dello stesso, con buchi vicini o forme che assomigliano a fori. I mal di testa sono legati generalmente alla nausea, mentre il prurito è stato riscontrato in soggetti che avevano osservato immagini di buchi sulla pelle, come nel caso della lotus boob, un fotomontaggio apparso su internet che ritrae dei semi di loto sul seno nudo di una donna.

Nei casi più gravi, questi sintomi vengono attivati anche solo pensando alle immagini che scatenano la paura. In qualche paziente, la tripofobia è correlata a disturbi d’ansia ed altre fobie specifiche. Possono verificarsi inoltre attacchi di panico, nel momento in cui l’immagine che suscita disgusto viene anche interpretata come possibile fonte di minaccia, fino ad arrivare a mettere in atto comportamenti di tipo ansioso e timoroso per paura di poter incappare da un momento all’altro in altre immagini simili.

Infatti, le persone che soffrono di tripofobia possono incorrere in vere e proprie modifiche del proprio comportamento. Ad esempio, potrebbero evitare di mangiare determinati cibi (come fragole, formaggio svizzero o cioccolato di Modica) o anche evitare di andare in determinati luoghi (come in una stanza con carta da parati punteggiata).

Diagnosi di tripofobia

Pur non essendo ufficialmente riconosciuta come disordine psichico, la tripofobia si presenta come una forma di paura incondizionata tutt’altro che rara, che può anche configurarsi come un vero e proprio disturbo altamente invalidante in svariati contesti, influenzando le attività del quotidiano.

Per questo motivo, se i sintomi limitano in modo significativo la normale vita quotidiana e sono presenti da oltre sei mesi, è consigliabile rivolgersi ad uno specialista.

Nonostante non siano ancora stati stabiliti dei criteri per una diagnosi clinica, la valutazione del soggetto tripofobico è fondamentale per comprendere i motivi alla base del disagio, identificandone il significato e quantificandone la portata.

Origini e cause

Secondo alcuni studi scientifici, la tripofobia deriverebbe da una reazione di difesa inconscia ed istintiva, retaggio dei nostri avi, nei confronti di pattern presenti sul corpo di alcuni animali velenosi (come i serpenti) o di cavità in natura che possono nascondere un pericolo (ad es. nidi degli imenotteri). Altre ricerche invece sostengono, anche se non necessariamente in opposizione con le prime, che la tripofobia sia correlata alla repulsione nei confronti di malattie infettive e parassiti.

Le cause della tripofobia

Per quanto le cause siano ad oggi ancora sconosciute, si suppone che sia l’esposizione ad alcuni tipi di immagini a provocare una risposta fobica. Ad esempio, in linea con la prima ipotesi, l’immagine di un polpo ad anelli blu provoca un’immediata reazione di ansia e disgusto. In questo senso, sarebbero le immagini di animali velenosi e potenzialmente mortali per l’uomo la causa della reazione fobica. Il polpo ad anelli blu è infatti uno degli animali più letali del pianeta, e, similmente, anche molti rettili, come i serpenti, presentano spesso pelli con colorazioni molto accese e arricchite da forme circolari che possono essere percepite come buchi.

In questo senso, è possibile che i nostri antenati, che hanno dovuto imparare a difendersi dagli animali minacciosi, abbiano sviluppato e poi trasmesso, fino ai giorni nostri, un’innata paura e repulsione nei confronti di altri esseri viventi con particolari colorazioni vivaci e a macchie.

Studio sulla tripofobia

Uno studio del 2013 ha provato a studiare come le persone con tripofobia, confrontate con quelle senza tale fobia, rispondono a determinati stimoli. Se esposte all’immagine di un alveare, le persone non tripofobiche associavano ciò ad esempio al miele o alle api, senza attivazioni ansiose di sorta. Le persone tripofobiche, invece, avvertivano immediatamente una fastidiosa sensazione di nausea e disgusto.

Tali evidenze empiriche sono state interpretate dai ricercatori come indice del fatto che chi soffre di tripofobia associ inconsciamente la vista di un nido d’ape a organismi pericolosi che condividono le stesse caratteristiche visive di base, come ad esempio i serpenti a sonagli.

Allo stesso modo, è però anche possibile che la sensazione di prurito, associata al disgusto, sia una naturale difesa della pelle ad una possibile contaminazione, sia essa causata da un veleno o da piccoli animali che potenzialmente potrebbero infestare il nostro corpo, timore che spesso riferiscono i pazienti tripofobici.

Una risposta evolutiva a possibili malattie o pericoli

La tripofobia, quindi, potrebbe essere una risposta evolutiva a possibili malattie o pericoli o a causa di associazioni inconsce con animali potenzialmente letali o, ancora, con agenti patogeni trasmessi dalla pelle. Quale che sia la causa, la tripofobia, sembrerebbe comunque essere una generalizzazione eccessiva e limitante di una risposta evolutiva originariamente adattiva e volta all’evitamento di pericoli e potenziali minacce.

‍‍Inoltre, la causa scatenante di tale disturbo potrebbe essere proprio la circolazione online a livello globale di tutta una serie di immagini trigger. A partire dalla diffusione del lotus boob, la tripofobia è sì divenuta fonte di grande attenzione e approfondimento scientifico, ma si pensa anche che possa essere proprio tale circolazione e propagazione su larga scala di immagini correlate ad aver causato un’eccessiva esposizione a ciò che scatena tale disturbo, in soggetti forse già predisposti alla comparsa di ansia o di fobie, con conseguente sviluppo di serie sintomatologie fobiche.

Tripofobia: cura e rimedi

La tripofobia può essere affrontata con diverse opzioni terapeutiche (psicoterapia, tecniche di rilassamento, farmaci ecc.), anche in combinazione tra loro. L’obiettivo di questi interventi è quello di indurre il paziente a razionalizzare la propria fobia, cercando di concentrarsi sulla possibilità di reagire ai pensieri ansiogeni e di affrontare le convinzioni negative associate alla paura dei buchi.

Desensibilizzazione sistematica

Analogamente al trattamento di altre fobie, un approccio risultato efficace nel trattamento della tripofobia è quello della desensibilizzazione sistematica, che consiste nella presentazione al paziente degli stimoli fobici in condizioni graduali e controllate, con lo scopo di riuscire ad arrivare ad affrontare le idee negative associate alla paura dei fori.

La desensibilizzazione viene spesso praticata in combinazione con tecniche cognitive e comportamentali, allo scopo di modificare il circolo vizioso della tripofobia e lavorare sul significato dei buchi per il paziente. In questo modo, il soggetto tripofobico viene esposto alle situazioni temute, con la possibilità di apprendere delle tecniche di autocontrollo emotivo, che gli permettono di ridimensionare la propria paura.

Training autogeno ed esercizi di respirazione

Per affrontare la tripofobia in modo efficace, la psicoterapia può anche essere praticata in associazione a tecniche di rilassamento, quali training autogeno, esercizi di respirazione e yoga. Questi trattamenti possono contribuire a gestire l’ansia correlata alla paura dei buchi. Infine, la terapia farmacologica viene prescritta da un medico psichiatra nei casi più gravi di tripofobia, soprattutto per controllare i sintomi di patologie associate al disturbo fobico, come la depressione e l’ansia.

 

Conclusioni: l’importanza di chiedere aiuto

Sebbene sia un disturbo dalle conseguenze cliniche, lavorative, scolastiche e sociali bene evidenti, la tripofobia rimane ancora un fenomeno sconosciuto e attualmente oggetto di ricerca da parte di molti studiosi a livello internazionale. Se non sai come affrontarla in maniera autonoma, non esitare a rivolgerti ad un professionista.

Articolo a cura della Dott.ssa Ilaria Loi psicologa presso la sede di Legnano del Centro InTerapia

Bibliografia:

  • Cole, G. G., & Wilkins, A. J. (2013). Fear of Holes. Psychological Science, 24(10), 1980–1985. https://doi.org/10.1177/0956797613484937
  • Juan Carlos Martìnez-Aguayo et al., Trypophobia: What Do We Know So Far? A Case Report and Comprehensive Review of the Literature, Front Psychiatry. 2018; 9:15.
  • Tom R. Kupfer & An T. D. Le (2018) Disgusting clusters: trypophobia as an overgeneralised disease avoidance response, Cognition and Emotion, 32:4, 729-741, DOI: 10.1080/02699931.2017.1345721
  • Wagner KD et al., Trypophobia, skin, and media, Dermatol Online J. 2018
  • Vlok-Barnard M. et al., Trypophobia: an investigation of clinical features. Braz J Psychiatry. 2017; 39(4):337-341

 

 

 

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