Si chiamano Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (o Disturbi del Comportamento alimentare come da dicitura precedente), ma riguardano condizioni complesse che vanno ben oltre il solo rapporto con il cibo o con la propria immagine corporea.

Tali manifestazioni sintomatologiche, per quanto possa essere facile etichettarle come “Il Problema”che tolto quello e tutto torna alla normalità, rappresentano la punta dell’iceberg, il motivo, per quanto fonte di sofferenza, grazie al quale si arriva a chiedere aiuto per poter far emergere conflitti interni, traumi e bisogni emotivi inespressi che hanno trovato la via del corpo per poter trovare richiamare l’attenzione.

I disturbi alimentari come riflesso di conflitti interni

Già solo da queste poche righe introduttive, appare già evidente quanto possa essere riduttivo e finanche controproducente provare ad occuparsi solo della manifestazione esplicita dei disturbo.

Per poter affrontare i disturbi alimentari, come avviene anche per qualsiasi altro disturbo psicopatologico, risulta essere necessario e fondamentale comprendere le radici psicologiche sottostanti che hanno portato proprio quella persona lì a esprimere il disagio di una vita interiore faticosa attraverso il rapporto con il cibo e con il proprio corpo.

Spesso, infatti, i disturbi alimentari sono il riflesso di conflitti interni, traumi passati, incapacità nella gestione di vissuti emotivi complessi, relazioni disfunzionali che non permettono la propria individuazione e separazione o, al contrario, relazioni svalutanti e invalidanti. Tutte queste fatiche, che per qualche motivo non possono essere esplicitate apertamente, per poter mantenere una certa integrità psichica, possono portare allo sviluppo di un disturbo alimentare, proprio come segnale, per quanto disfunzionale, che qualcosa di profondo richiede una seria attenzione.

Un tuffo nel proprio profondo

Intraprendere un percorso di psicoterapia, in tal senso, può aiutare chi si ammala di un disturbo alimentare ad esplorare il proprio mondo interno, le emozioni inespresse, le aspettative irrealistiche, i temi dolorosi e i vissuti traumatici, con l’obiettivo di sviluppare e acquisire una consapevolezza radicata del proprio Sé, accettando anche ciò che non piace e imparando ad esprimerlo in modo diretto, senza più ricorrere ad attacchi al proprio corpo.

I disturbi alimentare sono spesso correlati a difficoltà nella gestione del proprio mondo emotivo, che viene coartato perché non appare comprensibile e regolato esternamente con l’utilizzo del cibo (che sia l’assunzione o la privazione dello stesso poco cambia).

Un percorso volto all’esplorazione profonda di questi vissuti emotivi, accettando che esistano, accadano al di fuori della propria volontà e che si sentano nel corpo (pur senza essere fame o bisogno di cibo), può portare a sviluppare nuove modalità di gestione e

risposta, imparando a stare nel vissuto senza dover ricorrere ad altro per spostare l’attenzione.

Quali fattori di rischio

Nel momento in cui si chiamano in causa aspetti profondi del Sé come sottostanti un certo tipo di disturbo, è bene specificare anche la complessità dei fattori in gioco, senza accontentarsi di una spiegazione lineare (ad es. ha bassa autostima e quindi ha sviluppato un disturbo alimentare) poiché riduttiva e sminuente.

I disturbi alimentari sono complessi e multifattoriali, poiché riguardano, sia nell’origine sia nell’impatto sulla vita, diversi elementi appartenenti a tutti i livelli nei quali una persona si muove: il rapporto con sé, il rapporto con l’altro, il rapporto con la società di appartenenza, il contesto nel quale si è inseriti, il grado di sensibilità e supporto delle persone intorno, gli eventi di vita, la propria storia sia personale sia familiare, il proprio presente, ma anche il proprio futuro. In altre parole, i disturbi alimentari sono patologie psichiatriche associate a diversi fattori psicologici individuali e relazionali, nonché socioculturali, che si intersecano e influenzano vicendevolmente.

In quest’ottica, non è facile, né tantomeno utile, determinare delle cause univoche di un disturbo alimentare, per quanto, invece, siano identificabili sia i fattori precipitanti, che, nella storia di vita di una persona, ad un certo punto e non in altri momenti, portano allo scatenarsi conclamato della patologia, sia i fattori di rischio, che determinano invece una sensibilità alla patologia, andando ad incrementare il rischio di svilupparla, senza comunque essere sufficienti per causarla.

Elenco Fattori di rischio

La ricerca scientifica identifica una serie di fattori di rischio che rendono più probabile l’insorgenza di un disturbo alimentare e che riguardano l’individuo, il contesto familiare e sociale e anche le esperienze di vita:

  • Essere di sesso femminile. Attualmente l’incidenza pare essere maggiore nella popolazione femminile, per quanto forse la popolazione maschile sia sottodiagnosticata;
  • Avere un’età compresa tra l’adolescenza e la prima età adulta, ovvero quando il corpo muta e si sviluppa in modo considerevole e l’identità non è ancora ben definita;
  • Vivere in una società occidentale, che dà particolare enfasi all’ideale di magrezza come indice di benessere e di felicità;
  • Familiarità con i disturbi alimentari o con l’obesità, ma anche con altre patologie psichiatriche quali depressione e dipendenza da sostanze, nonché la presenza all’interno della famiglia di tratti ossessivi e perfezionistici;
  • Vivere in contesti familiari invischiati, iperprotettivi e controllanti che scoraggiano e non permettono l’individuazione e la separazione dei membri;
  • Complicazioni prenatali o perinatali;
  • Aver subito abusi sessuali o episodi di bullismo, soprattutto se focalizzati sul peso;
  • Essere all’interno di contesti che incoraggiano la magrezza come condizione essenziale per avere successo e riuscire (ad es. mondo della danza, della moda o della ginnastica);
  • Intraprendere diete ferree per adeguarsi a standard fisici irrealistici, soprattutto se in età adolescenziale;
  • Avere avuto problemi alimentari nella prima infanzia che hanno creato un’associazione tra l’atto del mangiare e conflitti e discussioni non piacevoli e fonte di stress;
  • Presenza di disturbi d’ansia;
  • Presenza di tratti personologici legati al perfezionismo, necessità di autocontrollo, bassa autostima, pensiero dicotomico (bianco o nero), impulsività, difficoltà nel tollerare e gestire le emozioni;
  • Presenza di problemi interpersonali come la difficoltà a creare o mantenere relazioni e rapporti, lutti non risolti, separazioni o abbandoni.

Difficoltà relazionali, conflitti interpersonali e disturbi alimentari

La sintomatologia dei disturbi alimentari è spesso profondamente interconnessa a questioni interpersonali o comunque possono avere una funzione interpersonale di richiamare l’attenzione su di sé, chiedere aiuto in un modo più incisivo e meno ignorabile o anche per esprimere rabbia nei confronti di qualcuno.

Alcune tipologie di difficoltà interpersonali tendono a risolversi man mano che i conflitti interni vengono resi consapevoli e il disturbo alimentare migliora, altre, invece, possono anche interferire con il percorso di guarigione e contribuire al mantenimento dei sintomi.

La presenza di conflitti interpersonali con una figura importante e significativa nella vita della persona con disturbo alimentare a causa di aspettative non reciproche sui ruoli che dovrebbero avere nella relazione. Tali conflitti possono sia scatenare sia mantenere il disturbo alimentare, nel tentativo di modificare tale rapporto nel momento in cui non si vede altra via d’uscita. Ad esempio, vi sono casi di ragazzi adolescenti infantilizzati da un genitore che, non trovando altro modo per modificare gli assetti familiari, sviluppano un sintomo restrittivo e controllante sul cibo come protesta, per quanto però poi comporti un inasprimento dell’atteggiamento genitoriale eccessivamente controllante. In altri casi, lo sviluppo di sintomatologia legata al cibo e alla perdita di peso fino al rischio di vita, può anche essere legata ad un tentativo di mantenere il nucleo familiare unito, riunito proprio dalla patologia che annulla la conflittualità precedente e congela nel momento.

A tal proposito, anche eventuali conflitti relazionali e interpersonali legati alla crescita e ai cambiamenti adolescenziali possono comportare sentimenti di inadeguatezza vissuti come talmente tanto fuori dal proprio controllo che, nel tentativo di gestire l’ingestibile, ci si potrebbe rivolgere al cibo come ad un qualcosa di più facilmente controllabile, poiché tangibile ed esterno da sé, per sentirsi più al sicuro in un mondo, sia esterno sia interno, che cambia in modo troppo repentino. Il cibo potrebbe, in tal senso, fungere da mezzo di gestione di emozioni di ansia e paura e l’eccessiva perdita di peso connessa ai disturbi restrittivi permetterebbe anche un ritorno ad una fisicità prepuberale, con l’idea di rimanere bloccati in un momento in cui si era ancora piccoli e alle cose da grandi ci pensavano gli adulti rilevanti, cercando, quindi, di mantenere i rapporti di dipendenza infantile perché crescere è terrifico.

Oltre ai conflitti, poi, anche la mancanza di relazioni, fino all’isolamento sociale, rappresenta un fattore di rischio sia per l’insorgenza sia per il mantenimento dei disturbi alimentari. La mancanza di abilità sociali per entrare in relazione con gli altri e la presenza di aspettative irrealistiche rispetto alla propria riuscita nel “debutto sociale” senza fatica alcuna possono portare a sviluppare disturbi alimentari sia come modalità di gestione delle emozioni che derivano da questi vissuti sia partendo dall’illusione di poter piacere di più con un fisico diverso da quello che si ha.

Le difficoltà interpersonali, nonché la presenza di tensioni e conflitti con gli altri significativi, possono inficiare sempre più l’autostima e portare chi soffre di un disturbo alimentare ad aumentare ancora di più il controllo sul cibo, sul peso, sulla forma corporea nello strenuo, ma illusorio, tentativo di rimanere aggrappati a qualcosa nel quale si riesce bene, a qualcosa che funziona per come si vorrebbe, a qualcosa che sembra veramente controllabile anche quando tutto il resto non lo è.

In tal senso, lavorare anche in modo specifico sulle fatiche relazionali e interpersonali può contribuire ad una sempre minore pervasività e necessità di mantenimento di un disturbo alimentare, andando così ad ampliare le aree di vita in cui sentirsi capaci e assertivi, trovando il modo di esprimere in modo funzionale e costruttivo i propri bisogni e vissuti emotivi, riducendo il bisogno di controllo alimentare e fisico.

Disturbi alimentari e vissuti traumatici

Diversi studi mettono in luce come quasi la meta delle donne con disturbi alimentari abbia subito nel corso della propria vita abusi sessuali, in particolar modo infantili, con la strutturazione di una percezione di sé come vulnerabile e isolata e degli altri come non supportivi, che avrebbe portato proprio allo sviluppo di sintomatologie legate all’alimentazione.

L’abuso sessuale infantile, aumentando l’incidenza di disturbi alimentari, sembra dunque essere un fattore di rischio estremamente rilevante per lo sviluppo psicopatologico, anche senza la mediazione di ulteriori fattori come altri sintomi psichiatrici o la presenza di regimi alimentari rigidi.

Secondo alcuni autori, lo sviluppo di un disturbo alimentari in seguito ad un trauma potrebbe connesso al tentativo di regolare i propri stati interni, vissuti come intollerabili e fonte di conflitti dissonanti nel momento in cui si prova ad appagare i propri bisogni interpersonali (negati in sede di abuso).

L’aver subito abusi sessuali, inoltre, correla molto spesso con l’aumento di peso, fino a livelli di obesità, come a volersi rendere il più indesiderabili possibili per evitare che tale orrore possa compiersi ancora.

Inoltre, diversi studi evidenziano, in seguito ad abusi sessuali infantili, l’alterazione dei sistemi di neurotrasmissione connessi all’iper-arousal, che sono i medesimi coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare.

La presenza di una storia di abusi può complicare il trattamento del disturbo alimentare in atto. In questi casi può essere più opportuno concentrarsi prima sui sintomi post-traumatici e sull’effetto che questi hanno nella vita della persona sofferente per poi trattare specificatamente il disturbo alimentare.

La rilevanza delle dinamiche familiari

In passato si riteneva che una delle cause principali per lo sviluppo di un disturbo alimentare fosse il rapporto con le figure genitoriali. Per quanto sia vero che le dinamiche familiari abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo dei propri membri, è altrettanto vero che a

livello di cura di un disturbo alimentare l’attribuzione di colpe non sia né utile né tantomeno rilevante. Analogamente a quanto accade per i sintomi, anche le dinamiche fossilizzate all’interno di un nucleo familiare sofferente (la diagnosi la porta un membro, ma la sofferenza tutti) hanno dei significati sottostanti, che contribuiscono al mantenimento della patologia, e solo mettendole in luce e dando loro spazio, tralasciando sterili colpevolizzazioni, è veramente possibile riprendere in mano la propria esistenza, bloccata e congelata in un loop dettato dalla patologia.

Soprattutto nel momento in cui la patologia alimentare riguarda un adolescente ancora profondamente inserito all’interno delle dinamiche familiari, risulta fondamentale coinvolgere proprio il nucleo familiare in ottica di collaborazione e alleanza, in quanto tutto il sistema viene influenzato e può a propria volta influenzare l’andamento della sintomatologia.

Un disturbo alimentare risulta essere altamente impattante sul sistema familiare, in quanto spesso amplifica caratteristiche preesistenti, rendendole sempre più pervasive e rigide al punto da farle diventare disfunzionali e contribuire a propria volta al mantenimento del disturbo stesso.

Convivere con un disturbo alimentare aumenta l’espressione di emotività negativa, rendendo sempre più critici e irritabili, bloccati in vissuti di impotenza che congelano in un presente sempre uguale a se stesso, senza più una prospettiva futura. In tal senso, aumentano anche i conflitti tra i diversi membri del nucleo familiare e si portano all’estremo comportamenti iperprotettivi e controllanti che, per quanto attuati in ottica di salvaguardare il più possibile la vita di chi porta la diagnosi, rischiano di andare a contribuire all’involutività del processo psicopatologico.

Anche all’interno del nucleo familiare, in tal senso, uno degli elementi che può fare la differenza rispetto al mantenimento piuttosto che alla risoluzione del disturbo alimentare è proprio la modalità di risoluzione del conflitto. La possibilità di una gestione positiva del conflitto, infatti, pur nella difficoltà del momento data dalla presenza del disturbo, può essere fondamentale per preservare l’integrità della famiglia attraverso l’uso della negoziazione e del compromesso.

Darsi la possibilità, in presenza di qualcuno che soffre di un disturbo alimentare, di intraprendere un percorso di terapia familiare focalizzato sulla gestione della conflittualità e sulla comprensione delle dinamiche che possono contribuire al mantenimento della patologia, può portare anche ad una rapida remissione della sintomatologia, nonché ad una risoluzione di eventuali sentimenti di colpa potenzialmente distruttivi, oltre che non rilevanti ai fini di una guarigione. Permettersi di esplorare le modalità con cui la famiglia si è riorganizzata intorno al sintomo alimentare, riconoscendo e affrontando i conflitti imparando a mettere in atto strategie più funzionali e costruttive, risulta essere uno dei modi più efficaci per accompagnare chi soffre lungo il percorso di guarigione, in un miglioramento complessivo delle relazioni, che possono diventare sempre più appaganti e scevre da aspettative irrealistiche.

Necessità di approcci ad ampio spettro e multidisciplinari

Da quanto si è cercato di delineare, mettendo in evidenza la complessità su più livelli che interessa i disturbi alimentari, pur nominando principalmente la necessità di percorsi di psicoterapia per esplorare il proprio mondo interno, la cura di questa tipologia di sofferenza

deve essere necessariamente multidisciplinare, andando, per l’appunto, ad occuparsi di tutti i livelli coinvolti.

A partire dalla diagnosi, nel momento in cui ci si riconosce un rapporto complicato e faticoso col cibo, occorre affidarsi a professionisti specializzati nel campo, che possano indirizzare verso l’eventuale percorso più adeguato per sé, tenendo conto anche della gravità e della durata dell’eventuale disturbo.

In ogni caso, come sottolineano anche le Linee guida NICE (National Institute for Clinical Excellence), occorre, in linea generale come trattamento d’eccellenza, adottare un approccio multidisciplinare per il trattamento e la cura dei disturbi alimentari, che tenga conto e integri tutti gli aspetti implicati: psicologico, psichiatrico, nutrizionale, chinesiologico e, quando necessario, anche medico.

Conclusioni

I disturbi alimentari rappresentano una sfida complessa e significativa sia per chi ne soffre sia per chi vi sta intorno. Attraverso una presa in carico a tutto tondo, non giudicante e attenta a tutti i diversi aspetti della sofferenza, è possibile dare voce e luce alle dinamiche sottostanti, permettendo l’espressione e l’elaborazione di emozioni faticose e la ricostruzione della relazione sia con il cibo sia con gli altri, senza tralasciare la relazione con il proprio Sé.

Guarire da un disturbo alimentare non è facile, proprio per la sua complessità e pervasività, ma è possibile e permette di riprendere in mano la propria vita senza dover più ricorrere al sintomo per autorizzarsi a viverla.

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Articolo scritto dalla dott.ssa Ilaria Loi Psicologa e psicoterapeuta presso la sede di Legnano è possibile chiedere maggiori informazioni o prenotare un appuntamento attraverso la nostra pagina dei contatti.

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