Perché si parla del passato in psicoterapia?

 

Perché se sto male nel presente devo andare a parlare della mia infanzia?

Noi essere umani effettivamente siamo il frutto della nostra storia, di quello che ci accade, perché quando noi ci muoviamo nella nostra quotidianità facciamo esperienza di mondo e incameriamo informazioni.

Queste informazioni vengono immagazzinate nella nostra mente, all’interno delle reti neurali dove vanno a formare delle mappe che ci sono assolutamente utili per regolare i nostri comportamenti, le nostre emozioni e le nostre relazioni.

Praticamente, è come se la nostra mente fosse un elaboratore di informazioni, questo vuol dire che le informazioni utili alla crescita, allo sviluppo e all’adattamento vengono trattenute e immagazzinate all’interno dei nostri circuiti neurali e queste informazioni si organizzano in “schemi cognitivi”.

Cosa sono gli “schemi cognitivi”?

Gli schemi cognitivi non sono altro che la traduzione psicologica di una rete neurale. Uno schema cognitivo racchiude i ricordi, racchiude le percezioni che abbiamo avuto nella nostra esperienza quindi gli odori, i colori, le immagini, racchiude i pensieri che abbiamo fatto quando facevamo esperienza e racchiude anche le convinzioni che abbiamo tratto da quell’esperienza.

Uno schema cognitivo funge un po’ da filtro: noi selezioniamo le informazioni in entrata sulla base dello schema cognitivo.

Lo schema cognitivo è anche il modo in cui noi pensiamo a noi stessi, agli altri e al mondo. Inoltre, esso ci permette di fare previsioni su quello che potrebbe accadere, creandoci delle aspettative e, di conseguenza, ci permette di regolare il nostro comportamento e le nostre emozioni.

Quando iniziano a strutturarsi gli schemi cognitivi?

Le reti neurali e gli schemi cognitivi iniziano a strutturarsi a partire dalle primissime esperienze infantili e tendono a perpetuarsi e a rinforzarsi man mano perché filtrano le informazioni in entrata.

Ciò significa che se all’interno delle mie reti neurali, dei miei schemi, io ho la convinzione di essere una persona inadeguata e senza valore, io selezionerò le informazioni coerenti con questa idea che ho di me e tralascerò o darò poca importanza a quelle che la vanno a disconfermare.

Da cosa si apprendono le informazioni coerenti con lo schema cognitivo?

Innanzitutto, traiamo informazioni dalle esperienze che facciamo. In secondo luogo, da quello che osserviamo quindi dall’esperienza indiretta, quello che vediamo accadere alle altre persone. Una terza importante fonte di apprendimento sono i messaggi che ci passa la famiglia, la società e la cultura quindi quello che ci viene detto.

Ad esempio, una persona può arrivare a sviluppare lo schema di inadeguatezza di cui parlavamo prima, in primis perché potrebbe essere stato fortemente criticato e svalutato da un genitore molto severo e/o da un’insegnante, apprendendo quindi questo schema per esperienza diretta.

Un’altra possibilità potrebbe essere l’aver visto un genitore rimproverarsi molto ogni volta che commetteva degli errori, svalutarsi, continuare a non credere di essere capace oppure potrebbe aver visto un genitore prendersela con un fratello perché non aveva buoni voti e buoni risultati, in questo caso lo schema di inadeguatezza è stato appreso per osservazione.

La terza possibilità potrebbe essere quella in cui una persona è cresciuta in un ambiente in cui veniva costantemente detto che è importante essere di successo e che sbagliare è assolutamente deleterio e in cui magari chi commetteva degli errori veniva considerato come inadeguato; portando così il soggetto a crescere con una pressione a raggiungere sempre il massimo, ma non essendo questo sempre possibile, a volte, questa persona si sarà sentita non all’altezza degli standard che gli venivano imposti.

Come agiscono gli schemi e le reti neurali:

Le informazioni in entrata, ovvero quelle che ricaviamo dalla nostra esperienza presente, vanno a riconnettersi con le reti neurali e le informazioni già immagazzinate in memoria, riattivandole; in questo modo noi possiamo dare un significato al mondo.

Ad esempio, se vediamo delle bacchette da sushi riusciamo a riconoscerle perché abbiamo già delle informazioni rispetto ad esse, abbiamo già fatto esperienza e perciò sappiamo a cosa servono e come maneggiarle.

Magari quelle stesse bacchette ci ricordano le prime volte in cui siamo andati a mangiare sushi e ci strappano anche un sorriso facendoci pensare a come eravamo goffi all’inizio; quindi, si riconnettono anche a delle emozioni.

Questo spiega anche come mai alcuni eventi del presente si riconnettono e riattivano dei vissuti che abbiamo immagazzinato già da tanto tempo.

In alcune occasioni, capita che le informazioni che introiettiamo nella nostra mente siano immagazzinate in maniera disfunzionale, ciò significa che a volte possiamo fare delle esperienze che sono particolarmente stressanti o disturbanti, le quali non riescono a venir ben “digerite” dal nostro sistema di elaborazione delle informazioni e quindi dalla nostra mente.

Perciò, queste esperienze rimangono immagazzinate con tutta la loro potenza emotiva e con tutte le percezioni e le sensazioni e sono anche poco integrate con il resto delle informazioni adattive presenti invece nella nostra memoria. Quindi queste reti che conservano le informazioni relative ad esperienze negative risultano essere staccate dal resto delle reti neurali e anche molto potenti a livello di sensazioni e di emozioni.

Cosa succede se qualche stimolo del presente si riconnette a queste reti e quando accade questo?

Quando qualche stimolo del presente si connette a queste reti riemerge tutta la sofferenza immagazzinate in memoria. Questo accade sicuramente con i ricordi considerati traumatici, quindi con quei traumi con la T maiuscola, ovvero quelle situazioni in cui la nostra integrità fisica è stata minacciata come ad esempio un incidente grave in auto; tuttavia, questo riguarda anche quelli che vengono chiamati traumi relazionali o traumi con la T minuscola.

Cosa si intende con traumi relazionali?

Durante l’infanzia si è particolarmente plasmabile dalle proprie esperienze e si è anche in qualche modo più vulnerabile perché si hanno meno risorse. Rispetto a quando si è adulti, il sistema nervoso di un bambino non è ancora pronto a regolare i vissuti emotivi, ma il bambino ha bisogno di una figura adulta e competente che lo aiuti a riconoscere le emozioni e a regolarle, calmando di conseguenza l’attivazione fisiologica ed emotiva.

Inoltre, in quest’età si sta costruendo l’idea che si ha di se stessi, la propria autostima e l’autoefficacia. Perciò, durante l’infanzia si è molto più esposti alla possibilità di traumi relazionali.

Ad esempio, un bambino potrebbe venire trascurato perché le sue figure di riferimento sono impegnate in altro, sono alle prese con dei problemi esterni o magari sono depresse e stanno affrontando delle problematiche psicologiche loro; potrebbe anche venire in qualche modo ignorato nel momento del bisogno o ancora potrebbe venire svalutato o attaccato.

Questi episodi potrebbero portare a formare un’idea di se stessi come poco amabili, di poco valore, non meritevoli e anche un’idea degli altri come persone inaffidabili e non disposte a fornire aiuto.

Tutto questo viene immagazzinato nelle proprie reti neurali e nei propri schemi cognitivi che verranno chiamati, in questo caso, schemi maladattivi precoci.

Come si comportano gli schemi maladattivi precoci?

Gli schemi maladattivi precoci quindi racchiudono le idee disfunzionali circa se stessi, gli altri e il mondo. Gli schemi fanno sì che noi ci creiamo delle aspettative su come potrebbe andare la nostra vita, regolano il nostro comportamento e la nostra gestione sia relazionale che emotiva.

Per questo, ripercorrere le fasi dell’infanzia chiedendosi dove si è imparato questo è importante e fondamentale all’inizio di una terapia. Le esperienze negative della propria storia che si vanno a indagare all’inizio della terapia influenzano, attraverso gli schemi, il modo in cui noi ricordiamo il nostro passato, viviamo il nostro presente e pensiamo il nostro futuro.

Quindi queste esperienze costituiscono la base neurale di come noi viviamo il presente, viviamo la nostra vita, ci relazioniamo agli altri e ci comportiamo oggi. Per questo, la prima parte della terapia viene dedicata proprio a sondare e ad esplorare le origini del nostro funzionamento presente.

Perché si esplora il passato in terapia?

Innanzitutto, perché così possiamo dare un significato al nostro vissuto. Il come ci sentiamo oggi è qualcosa che acquisisce un senso all’interno del quadro della nostra storia. Inoltre, ci permette di lavorare sulle esperienze che hanno dato vita a degli schemi maladattivi e questo ci libera dalle catene del passato perché ci permette di operare delle scelte più consapevoli, senza essere influenzati in maniera automatica da quello che ci è successo quando eravamo piccoli, adolescenti o nella giovane età adulta. Infine, ci rende anche più consapevoli di quelle che sono le nostre risorse nel presente.

Ci permette dunque di liberarci da tutte quelle influenze di alcuni apprendimenti relativi alle prime fasi della nostra vita.

In conclusione, potremmo dire quindi che quando in terapia si affronta il passato, in realtà, ci si sta prendendo cura del presente.

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