La cardiopatia ischemica viene considerata ormai una classica malattia psicosomatica.

Più di qualunque altra condizione di malattia, la cardiopatia riflette le realtà tipiche legate al vivere moderno come lo stress, la mancanza di tempo, la competitività e l’eccessiva ambizione. E’ stato riscontrato che l’incidenza di cardiopatia ischemica in individui con questi tratti è circa il doppio rispetto a soggetti di controllo. In particolare è il tratto dell’ostilità che sembra avere un’influenza nefasta sull’apparato cardiocircolatorio secondo una duplice via.

La prima riguarda uno stile di vita sfavorevole (alimentazione disregolata , scarsa attività fisica, cattive abitudini), la seconda via è attraverso tutto il complesso di azioni biologiche conseguenti ad un eccesso di reattività emotiva agli stimoli ambientali stressanti.

Sono stati identificati in particolare due modelli di comportamento associati ad un maggior rischio di cardiopatia, denominati personalità di tipo A e personalità di tipo D.

La personalità di tipo A si caratterizza per un comportamento altamente competitivo,  tratti di potenziale ostilità, impazienza pronunciata e stile linguistico vigoroso. Per ostilità si intende un ampio ventaglio di manifestazioni psicologiche che può variare da un più internalizzato orientamento negativo verso le relazioni interpersonali  a manifestazioni più aperte di rabbia, sfiducia e cinismo.

Le credenze di base che appartengono a questo quadro di personalità sono:

‘devo costantemente provare a me stesso di valere attraverso il raggiungimento di traguardi importanti e socialmente riconosciuti’

‘non credo nell’esistenza di principi morali universali garanti di onestà, giustizia e bontà’

‘credo che le mie risorse necessarie per avere successo siano scarse ed insufficienti’

Questi pensieri e schemi cognitivi preparano terreno fertile per l’insorgenza dei conseguenti comportamenti e atteggiamenti di estrema competitività, impazienza, ostilità, rabbia e condizionano in maniera significativa le risposte fisiologiche.

Ribaltando il contenuto di questi schemi di pensiero, emerge un profilo di un profondo senso di insicurezza e di inadeguatezza.

L’incessante corsa al successo servirebbe ad evitare o ridurre i giudizi negativi provenienti dagli altri ma specie da se stessi. Tuttavia la maggior parte di questi processi di pensiero avviene perlopiù  in modo automatico e del tutto inconsapevolmente ed è proprio in questo che risiede la loro tossicità.

Il concetto di personalità di tipo D è stato introdotto sulla scena della ricerca psicosomatica da Johan Denollet (1996)per identificare la ‘distressed personality’, letteralmente la personalità angosciata.  Si caratterizza per la presenza di due tratti stabili: l’affettività negativa  (che ha in comune con il tipo A) e il tratto distintivo dell’inibizione sociale.

Le persone con personalità di tipo D tendono a preoccuparsi, ad assumere una visione pessimistica della vita e a sentirsi ansiosi e infelici, si irritano più facilmente delle altre persone ed in generale provano meno emozioni positive. Allo stesso tempo, tendono a non condividere le emozioni negative per paura di essere rifiutati o disapprovati, essendo molto sensibili su un piano di giudizio sociale. Queste persone tendono inoltre ad avere poche amicizie e a sentirsi a disagio in presenza di estranei.

Con questo concetto Denollet non ha voluto riferirsi ad esperienze emotive transitorie ma ad esperienze emotive che tornano a ripetersi nel tempo,  ‘tonalità emotive croniche che colorano il rapporto di una persona con se stessa e con il mondo esterno nel corso della sua vita’.

Inoltre l’autore ha messo in luce nei suoi studi quanto il tratto di inibizione sociale sia un fattore di rischio di gran lunga maggiore rispetto alla sola presenza di affettività negativa.

Questi dati evidenziano come il modo in cui le persone fronteggiano le emozioni negative ha un’importanza pari all’esperire situazioni negative e spiacevoli ,siano quest’ultime stress lavorativi, familiari, separazioni, cambiamenti di vita e che l’effetto combinato di eventi stressanti e di reazioni di inibizione può essere ancora più dannoso per la salute cardiaca.

Diventa fondamentale in termini di trattamento occuparsi non soltanto di un recupero funzionale cardiaco ma di una più generale riabilitazione a 360 gradi del paziente cardiopatico, bonificando la radice dei comportamenti malsani della persona.  Non è un caso che più la medicina fa progressi nell’intervento in fase acuta e più le persone si ammalano o si riammalano di cuore.

Come afferma Bernard Lown, medico cardiologo molto dedito ai suoi pazienti, attivista politico nonché Premio Nobel per la Pace nel 1985, ‘una psiche disturbata può creare problemi al cuore,’ soprattutto attraverso lo stress e stati d’animo negativi come la rabbia, la paura, il risentimento, la depressione o tutte quelle forme di ‘noia sottile’ o di insoddisfazione verso la vita che contaminano la percezione degli eventi che accadono.

Come scrive Roberta dell’Acqua nel suo libro ‘Una nuova vita dopo la patologia cardiaca’, l’infarto può essere considerato come un’esplosione emotiva, un blackout dell’organismo, la reazione estrema del corpo ad una ferita dell’anima.

Le varie preoccupazioni per il lavoro, per la famiglia, il dispiacere per attriti con altre persone, il carico di responsabilità e stress che possono incombere quotidianamente su una persona, non hanno una terapia farmacologica. Se si vuole veramente curare la persona colpita da episodio cardiaco, bisogna accompagnarla  in un percorso di conoscenza del suo modo di vivere, sia un piano manifesto sia su un piano più interno e profondo.

Ma come interrompere questo circolo autodistruttivo ?

La psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta un valido aiuto per identificare tutti quei fattori di rischio siano essi comportamenti, pensieri ed emozioni che sono letteralmente tossici per il nostro organismo e che interferiscono con la corretta adozione di stili di vita e stili di pensiero più salutari.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale può inoltre ben integrarsi con altri approcci risultati molto efficaci quali la Scrittura Espressiva (vedi articolo ‘il potere terapeutico della scrittura’) per prendere contatto con le parti inespresse di sé stessi che, non solo non conosciamo, ma che spesso ci dimentichiamo di avere e la Mindfulness. Quest’ultima, con il suo invito a prestare attenzione al momento presente, rafforza il messaggio della malattia cardiaca che costringe la persona a rallentare, fermarsi, ad approfittare di quella sosta obbligata con il proprio corpo per ascoltarsi e ritrovarsi.

Bibliografia

‘Cuore e Anima’ Una nuova vita dopo la patologia cardiaca, Roberta dell’Acqua, Armenia (2017)

‘Mente e Cuore’ Clinica Psicologica della malattia cardiaca, Molinari e., Compare A., Parati G., Springer (2007)

Pedersen SS, Denollet J (2003), Type D personality, cardiac events, and impaired quality of life: a review. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 10:241-248

Articolo scritto dalla dott.ssa Elena Cristina

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