Cosa si intende con il termine accettazione in terapia

“Beveva in continuazione, le sembrava essenziale per mantenere una qualche forma di equilibrio. Evitava di pensare agli aspetti pratici e si faceva cullare da una specie di fede assoluta, da quella e dal gin”
FOLLIA – McGrath

Evitamento del proprio mondo interiore

Cosa si intende con il termine accettazione in terapia? Spesso in terapia si parla di accettare le proprie emozioni, di aprirsi ai propri vissuti e alle proprie sensazioni. Si chiede di far spazio a ciò che si sente a livello emotivo, di accogliere i messaggi che il nostro corpo ci invia.

“Ma come?!? Io sono qui proprio per scrollarmi di dosso tutto questo, per allontanare queste sensazioni spiacevoli che mi si sono attaccate addosso e che mi logorano”
Legittimo.
Nessuno vorrebbe confrontarsi con dolore, disagio, fatica: siamo naturalmente portati ad evitare ciò che potenzialmente ci danneggia e ci fa soffrire. L’evitamento è una strategia di cui siamo dotati e che, utilizzata in modo flessibile e non come unica soluzione possibile, può essere anche estremamente utile e funzionale: se non avessimo in noi la tendenza ad allontanarci da ciò che ci fa male probabilmente non saremmo qui oggi.
Eppure, l’evitamento diventa spesso l’unica soluzione che mettiamo in campo per scappare dalle esperienze indesiderate, dai pensieri e dalle emozioni disturbanti.

I tanti volti dell’evitamento

Esistono tantissimi modi per bloccare i pensieri e le emozioni che turbano o si fatica a tollerare. Ciascuno, nel corso della sua storia, mette a punto strategie prendendo spunto da ciò che osserva intorno a sé (dai comportamenti messi in atto dai genitori, dagli amici…) e da ciò che gli accade. A volte identificare le azioni volte a bloccare i vissuti non è affatto semplice.

Per evitare possiamo ricorrere a:

  • attività con un franco effetto anestetizzante (Young et al, 2007), ovvero attività che calmano il sistema nervoso e il nostro organismo: si utilizza il cibo abbuffandosi, si assumono sostanze calmanti o alcool, si passano ore davanti al televisore, si gioca ai videogiochi perdendo il senso del tempo…
  • comportamenti fortemente attivanti (Young t al., 2007), che ci permettono di distrarci o di coprire, sovrastando, il vissuto emotivo: iper-lavoro, esercizio fisico ossessivo, attività rischiose (sport estremi, guida pericolosa…), abuso di sostanze stupefacenti, ossessiva ricerca di incontri sessuali con partner occasionali, gioco d’azzardo…
  • gesti autolesivi (Boon, Steele, Van der Hart, 2013; Fisher, 2017): infierendo sul piano fisico si cerca di mettere a tacere il dolore psichico, di ovattarsi, di concentrarsi su qualcosa di più gestibile, ovvero la ferita concreta e tangibile sul proprio corpo.

Questi sono solo alcuni esempi degli svariati modi che abbiamo per cercare di fuggire al confronto con il nostro mondo interiore.

Molti comportamenti di evitamento (come per esempio lo sport, lo svago attraverso il gioco…) potrebbero anche rivelarsi strategie adattive ma, quando non si riesce più a farne a meno o vengono agite in maniera ossessiva, esse diventano inefficaci e nocive per il benessere psicofisico.

Quali sono le esperienze interne che evitiamo?

Le esperienze interne verso le quali si è vulnerabili possono essere svariate; dipendono dalla storia di vita di ciascuno, dalle esperienze avute, dai messaggi che sono stati passati all’interno del contesto familiare, sociale e culturale in cui è vissuto. Noia, senso di vuoto, solitudine, tristezza, sensazione di essere rifiutati o abbandonati…questi sono tra i vissuti fortemente disturbanti più comunemente evitati.

L’evitamento permette di distrarsi dal profondo dolore interiore sperimentato quando si attivano tali sensazioni, eppure non ci fornisce alcuna chance per imparare a stare con quel dolore, comprenderlo, accoglierlo e imparare a gestirlo.
Ricorrendo in maniera massiva all’evitamento diveniamo schiavi di comportamenti che limitano la nostra vita o ci impediscono di impegnarci in attività per noi di valore.

Per rifuggire all’esperienza interna accade che ci si rinchiude in una gabbia di evitamenti disfunzionali che, magari, per brevi lassi di tempo ci protegge dalle emozioni indesiderate, ma pian piano attanaglia, togliendoci la possibilità di dedicarci a ciò che conta.

Aprirsi alle emozioni per vivere una vita piena

Quando le strategie di regolazione emotiva tendono all’inibizione, le emozioni sono fortemente temute e pertanto tenute a debita distanza. Si ha la convinzione che, qualora si facesse loro spazio, si sarebbe invasi e sovrastati.  Vi è un’incapacità di distinguere tra emozioni intense e intollerabili. Ogni vissuto intenso è valutato come incontrollabile e sovrastante.

Ecco che arriviamo quindi al concetto di accettazione.

Accettazione significa aprirsi, fare spazio ai propri stati interni, indipendentemente dal fatto che essi siano piacevoli o spiacevoli.
Cercare di evitarli non fa altro che amplificare la sofferenza e ridurre le possibilità di azione. È possibile “fare spazio alle emozioni”, rimanendo in contatto con il momento presente (Harris, 2011).

Accettazione significa rassegnarsi? NO!

Quando si parla di accettare i propri vissuti, accogliendoli, si tende a storcere il naso: “Ok, ciò significa che devo semplicemente rassegnarmi a tutto ciò che succede fuori e dentro di me”.
Non è così: rassegnandoci cediamo il passo allo spegnimento, adottiamo una modalità passiva, ci lasciamo trascinare dagli eventi di vita; accettando i nostri vissuti invece abbiamo la possibilità di diventare pro-attivi, di conoscerci, di investire le energie in ciò che per noi è importante e denso di significato.

Accogliendo le ondate emotive dentro di sé, facendosi cullare, non si viene travolti dai vissuti. Si può avvertire il movimento dentro di sé, più o meno intenso, traendo da esso informazioni preziose. Sì perché le emozioni sono portatrici di informazioni.

Il contatto consapevole con la propria esperienza permette un arricchimento generale. Non si è più costretti ad evitare, ci si libera dalle catene dei comportamenti.
La finestra di tolleranza emotiva, ovvero la capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni mantenendo la lucidità e la consapevolezza del momento presente, si allarga pian piano e la sofferenza si riduce: si impara che si può stare a contatto con quelle emozioni.

Le emozioni prima temute diventano importanti messaggi che ci informano circa i nostri desideri, bisogni e inclinazioni.

Ecco perché in terapia si lavora molto sull’aprirsi all’emozione, usando spesso il termine “accettazione”, fonte purtroppo di fraintendimenti.
La terapia mira a fornire strumenti utili a relazionarsi con la propria esperienza emotiva, sviluppare abilità di auto-contenimento e di regolazione più adattive, al fine di produrre cambiamenti concreti nel modo di vivere la propria quotidianità.

Ecco perché accettazione non è assolutamente sinonimo di rassegnazione.

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BIBLIOGRAFIA

  • Boon, S,; Steele, K.; Van Der Hart, O. (2013). La dissociazione traumatica comprenderla e affrontarla. Milano: Mimesis Edizioni
  • Young, E.J., Klosko, J.S. & Weishaar, M.E. (2007). Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità. Firenze: Eclipsi
  • Fisher, J. (2017). Guarire la frammentazione del sé. Come integrare le parti di sé dissociate dal trauma psicologico. Milano: Raffaello Cortina Editore
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